México Sur Real – Un giorno, a Real… (seconda parte)

(seconda parte)

Devo innanzitutto premettere che non sono un abitudinario di questo tipo di droga, anzi non lo sono per quasi nessun tipo di sostanza, a parte qualche canna di tanto in tanto. Il fatto è che in quell’occasione ero a una festa con degli amici, e uno di loro a un certo punto ha tirato fuori questi francobolli da leccare imbevuti di LSD. Al momento non avevo nessuna intenzione di provare quella sostanza, anche perché le leggende metropolitane che parlano di gente impazzita o addirittura passata a miglior vita dopo un trip con l’LSD, a me non sembravano per nulla leggende. Poi, questo mio amico, parlandomi molto chiaramente degli effetti e delle possibili conseguenze non desiderate, che erano secondo lui trascurabili, mi convinse pian piano a provare, e così feci. Per un paio di secondi il silenzio di prima ripiombò di nuovo tra le frequenze della radio poi, dopo che invitai Adrian a proseguire, questi raccontò senza reticenze il suo trip lisergico. – Dopo che ebbi leccato il dorso del francobollo, ebbi la sensazione che tutto quello che avevo sentito sull’LSD fosse sempre stato di molto esagerato, anche perché io non sentivo quasi nulla, se si esclude la musica della festa, che mi sembrava non so perché più “calda” forse più coinvolgente. “Forse hanno cambiato il Dj” pensai compiaciuto, dato che la musica selezionata fino allora non mi era piaciuta per nulla. – Poi – continuò Adrian dopo una breve pausa – non so da dove, sbucò una ragazza, e mi misi a parlare con lei, nonostante la musica assordante. La cosa strana però, è che a un certo punto della conversazione, iniziai a “sentire” ciò che lei mi voleva dire prima ancora che aprisse bocca, e inoltre le luci strobo che illuminavano la discoteca, iniziarono ad apparirmi come fluorescenti dipinti naif, nel senso che avevano la tipica tonalità calda di un quadro, non certo la freddezza di una luce colorata da discoteca, e in più erano fluorescenti. La ragazza mi ricordo, mi guardava strano, forse sapeva cosa avevo preso, e forse anche lei aveva preso qualcosa di simile, perché a un certo punto la vidi trasformarsi in onde fluorescenti, come il resto della discoteca, e mi accorsi che anch’io emanavo dai piedi queste strane onde che attraversavano tutto il mio corpo. La pelle – e soprattutto le dita dei piedi – sembravano caricati elettricamente; una costante e crescente eccitazione ostacolava qualsiasi mia riflessione… Ebbi in seguito, la netta sensazione che un altro, un estraneo, prendesse possesso di me pezzo per pezzo. Questo inquietante processo di estraniazione mi provocò un senso di impotenza; stavo consegnando me stesso a un altro. Dopo un altro po’ di tempo mi ritrovai a occhi chiusi, intento a guardare su sfondo rosso innumerevoli filamenti intrecciati. Un cielo plumbeo sembrava opprimere ogni cosa; percepivo il mio io schiacciato su sé stesso, non ero altro che un nano avvizzito… La voce di Adrian ebbe per un attimo una leggera incrinazione, dovuta probabilmente al deglutire o forse all’emozione nel ricordare quei fatti. Poi calmo, riprese: – A un certo punto mi misi a sedere sul pavimento di una stanzetta, probabilmente una specie magazzino della discoteca, e appoggiai la schiena alla parete; da lì potevo scorgere, attraverso l’unica finestra sulla parete angusta che mi stava di fronte, uno squarcio di cielo grigio chiaro, anche se mi rendevo conto che in realtà era notte. Appariva di una normalità sconsolante, come tutto l’ambiente in generale. Ero abbattuto, mi sentivo talmente ripugnante e insopportabile che non osavo stare di fronte a uno specchio o guardare il volto di un’altra persona. Sentivo che quell’essere che si stava impossessando di me era enorme e mostruoso e io, sprofondato dentro il suo tenace peso oppressivo, mi sentivo trattenuto dalle sue membra che vedevo come quelle di una piovra dai cento tentacoli. – È solo la proiezione del demone in te stesso – mi rassicurò una misteriosa voce che teneva alta una spada luminescente – è la tua anima sospettosa. Fu come un colpo di spada fulmineo. La sua lama redentrice mi attraversò interamente. I tentacoli della piovra si staccarono dalla presa, come se fossero stati recisi, e subito, da quel cielo cupo e opprimente, oltre la finestra spalancata, cominciò a scintillare come acqua colpita dal sole. Mentre lo stavo fissando in quello stato d’incantamento, proprio il sole si trasformò in vera acqua: una sorgente sotterranea scaturì d’improvviso al centro della visione, si precipitò gorgogliando verso di me, mi sommerse; ora una tempesta, poi un lago, infine un oceano con milioni e milioni di gocce e su tutte le gocce, su ognuna di esse, danzava la luce… Quando la stanza, la finestra e il cielo furono di nuovo sotto il controllo della coscienza, non ero ancora uscito da questo stato di inebriamento – non del tutto almeno – ma le sue retroguardie, che vidi sfilare nelle due ore successive, ricordavano molto l’arcobaleno che segue il temporale.

Ero esterrefatto. Il racconto di questo Adrian mi lasciò per qualche secondo senza parole, anche la solita sigla di sottofondo era stata opportunamente rimossa – o forse dimenticata – dal buon Isidro, e per qualche istante la radio non trasmise che un opprimente silenzio carico di commozione. Poi, come uscendo da un sogno, mi ricordai che stavo conducendo una trasmissione radio, e che quindi se non c’era musica, dovevo per forza parlare, dire qualcosa. – Be’ caro Adrian – esordii leggermente esitante – il tuo racconto ci ha lasciati per così dire, senza parole. Hai raccontato con una dovizia di particolari commovente un’esperienza lisergica davvero incredibile. – Sono certo che i nostri radioascoltatori ne sono rimasti stupefatti quanto noi – dissi guardando Isidro che confermava con un cenno della testa. – Ooh grazie Dave, non mi aspettavo neanche io di ricordarmi tutta quell’esperienza così bene, anche perché è successa più di un anno fa – rispose Adrian da un punto imprecisato là fuori nella città. – Adrian, volevo solo chiederti una cosa – aggiunsi io mentre stappavo la seconda bottiglia di birra della serata – qual è la tua opinione al riguardo dell’LSD, ossia è un’esperienza che è valsa la pena di fare oppure no? Adrian sembrò pensarci su un poco, poi preceduto dallo scricchiolio che aveva aperto il suo intervento, rispose: – Be’ Dave, posso dire che dal punto di vista dell’esperienza, probabilmente provare l’acido è una cosa che si potrebbe anche fare, anche se sono dell’opinione che bisognerebbe farlo in compagnia di qualcun altro, e che possibilmente questo qualcun altro sia sobrio. Dal punto di vista dei rischi che si corrono, e di quanto sconosciuto sia ancora il – per così dire – percorso che ci si trova a compiere nel corso di un trip lisergico, penso che forse, il gioco non vale la candela, nel senso che forse non ha senso rischiare quello che si rischia, per stare male anche durante lo stato di inebriamento, cosa che forse non ci si aspetta. – Grazie Adrian, grazie ancora per il tuo racconto, e per questa tua preziosissima opinione – dissi congedando Adrian, per poi proseguire: – Giunti a questo punto, mi preme sottolineare che il racconto che il nostro ascoltatore ci ha proposto, e che ringraziamo nuovamente, è come quelli che seguiranno, il racconto di esperienze di realtà non ordinarie, per dirla alla Castaneda, perciò strettamente personali e quindi noi, in quanto radio, non ci permettiamo di esprimere alcuna opinione né a favore né contro l’uso di queste sostanze, dando fiducia all’intelligenza dei nostri ascoltatori che spero, anche grazie alla nostra trasmissione, riescano a sviluppare una loro opinione personale al riguardo. – Comunque sia – proseguii parlando, con un nuovo brano in sottofondo – care anime della notte, ora andiamo con un altro brano, perfettamente in sintonia con quanto abbiamo appena ascoltato. Loro sono un gruppo che non hanno bisogno di presentazione. Si chiamavano Beatles e la canzone si intitola “Lucy in the sky with diamonds” che a veder l’acronimo ci riporterebbe all’LSD, e il viaggio quindi, è un altro trip lisergico, questo però solo virtuale. Buon ascolto anime della notte… Quando Isidro alzò il volume sul mixer che corrispondeva al canale in cui era già in esecuzione quella canzone, un’inebriante melodia psichedelica invase tutto lo studio 4 della radio, e attraverso le antenne che irradiavano il segnale per tutta la città, si riversò tra le strade d’America, sature di analgesici e barbiturici, e di centinaia e centinaia di sostanze d’ogni tipo contro il dolore e la noia. Mi alzai dalla mia postazione, mi tolsi per qualche minuto le cuffie, e andai alla finestra a osservarla questa notte americana, mentre i Beatles cantavano di questa Lucy nel cielo con i diamanti, e guardando la mia città illuminata da abuliche luci al neon, non potei fare a meno di sentire lungo la spina dorsale, un lieve brivido di freddo, nonostante là fuori, malgrado l’ora, di certo non si gelasse. Quando il brano dei Beatles finì, e incominciò ad andare la solita sigla in sottofondo che ricordava ai più distratti che trasmissione stavano ascoltando, ripresi a parlare, non senza avermi acceso un’altra sigaretta. – Bentornate anime della notte. Questa è sempre radio HXLA 103.5 FM, e io sono sempre Dave Hammond che ogni notte vi tiene compagnia con viaggi di ogni tipo, ogni volta nuovi. Feci quindi una breve pausa in cui aspirai con calma una lunga boccata di fumo dalla seconda sigaretta della nottata, fumo che dopo essere sceso per qualche secondo nei miei polmoni, fu rilasciato nell’atmosfera dello studio, quasi saturandone l’aria. Poi ripresi a parlare: – Il bello è che il viaggio che abbiamo intrapreso stanotte, come i viaggi che ogni notte ho l’onore di compiere assieme a voi, possono essere vissuti e rivissuti ogni volta che ce ne viene la voglia, grazie alla musica, alla notte e a qualche bottiglia di birra. Ma anche possono essere immaginati, solo guardando fuori dalla finestra, osservando le luci della notte americana, come ad esempio è successo a me qualche momento fa, quando tra le frequenze della vostra radio preferita, stavano passando i Beatles e la loro celeberrima “Lucy in the sky with diamonds”. – Quindi – ripresi dopo l’ennesima boccata di tabacco – vi invito a fare proprio così. Affacciatevi alla finestra. Osservate la notte. E ascoltatela, ascoltate che vi racconti di Real, e delle impressioni da viaggio di un umile viaggiatore come me. Allora ripresi a raccontare di Real de Catorce: – Dopo essere sbucati dall’Ogarrio, la prima visione di Real de Catorce può essere tutt’altro che da città-fantasma; il piccolo mercato proprio davanti al piazzale, il brulicare di turisti che comprano e di abitanti del posto che vendono, i bambini a cavallo che offrono “gite” nel deserto e il piccolo esercito di stranieri che hanno scelto Real come nuova residenza la rendono a quell’ora un vivace paese e le voci che la danno in lenta, ma costante decadenza, sembrano tutt’altro che veritiere. Altra impressione fa invece, appena qualche ora dopo il tramonto del sole.
La temperatura si abbassa, i turisti spariscono o rintanati nei piccoli alberghi del paese o addirittura in altre cittadine un po’ più accoglienti nelle vicinanze, e le sue strette e ripide stradine, ritornano ad essere ciò che da più di un secolo a questa parte sono sempre state, cioè il regno di cani, gatti e fantasmi in pena.
Ed è a quest’ora che si rivela la vera anima di Real e dei suoi pochi abitanti, che è poi fatta di rispetto e accoglienza verso chi ha gli stessi sentimenti verso questo pueblito e verso l’ambiente in cui il paese è perfettamente integrato, tanto da far pensare che esista da sempre, proprio come da sempre esiste il simbolo o meglio uno dei simboli di Real, il peyote. In quel momento Isidro, dall’altra parte del vetro, sollevò un cartello in cui c’era scritto che tempo un’altra canzone, e avremo avuto in onda la seconda telefonata di un nostro radioascoltatore, un certo Robert, che ci avrebbe parlato della sua esperienza psichedelica. Mi affrettai così a presentare il nuovo brano che Isidro stava già iniziando ad avviare in sottofondo, non senza aver dato l’ennesima tirata alla mia sigaretta: – Bene cari amici, mi avvisano che fra poco avremo in onda un nostro radioascoltatore che ci parlerà della sua esperienza con una di queste sostanze, un’esperienza maturata in un piccolo villaggio messicano molto più a sud di Real de Catorce, un villaggio dove abitualmente si consumano a scopo religioso e curativo, delle sostanze allucinogene. Quindi, per entrare in atmosfera con quanto ascolteremo tra poco, voglio farvi ascoltare un brano cantato da tre native americane e pubblicato in un vecchio album di Robbie Robertson. Loro si chiamano Pura Fé, Soni e Jennifer, il loro gruppo si chiama Ulali e la canzone si intitola “Mahk Jchi”, e scusandomi con i nostri ascoltatori se la pronuncia non è esattissima, vi aspetto dopo questo brano appunto, per continuare il nostro viaggio di questa notte. A tra poco… Quando smisi di parlare, il tamburo che apriva il brano aveva già smesso di pulsare da qualche secondo, sostituito in primo piano da una melodia dolcissima che scaturiva dalle delicate voci di queste tre native americane, capaci di evocare in una lingua indigena quasi scomparsa e che la stragrande maggioranza degli americani non conosce – eppure compressibilissima se ascoltata con il cuore – i fasti delle civiltà dei cosiddetti indiani d’America, nonché il fiero orgoglio dei loro discendenti, che cercano con ogni mezzo di riscattarle dall’oblio. Naturalmente conoscevo già da molto tempo questo brano, che mi era piaciuto fin dal primo ascolto, e che mi aveva catturato con la sua armoniosa melodia plasmata principalmente dalle tre voci femminili. Quando il brano finì, Isidro mi fece cenno che avevamo questo nostro radioascoltatore, Robert, già in linea, per cui non attesi altro, e lo presentai: – Abbiamo ora in onda – dissi tenendomi strette le cuffie – un nostro radioascoltatore di nome Robert che ha da raccontarci un’esperienza psichedelica avuta in Messico, un’esperienza che colpirà molto i nostri ascoltatori, ne sono certo, vero Robert? – chiesi al vuoto dello studio 4, per poi aggiungere – ci sei vero Robert? – Sì Dave, ci sono. Come stai? – domandò una voce all’apparenza appartenente a una persona giovane, anche se dal tono dolce e pacato. – Bene Robert, tutto bene. Spero stia bene anche tu – dissi ripensando alle sensazioni di poco prima. – Questa persona dicevo, ha avuto un’esperienza psichedelica con una sostanza che ha avuto modo di assumere in un paesino abbastanza noto a hippie, studiosi e curiosi in cerca di facili emozioni, proprio perché qui si consumano in cerimonie sacre, ma anche a scopi curativi, dei funghi allucinogeni dal sinistro nome scientifico di Psilocybe mexicana. Il paesino si chiama Huautla de Jiménez e be’… Robert, vuoi raccontare, in maniera sintetica, un po’ la storia di questo paesino, prima di raccontarci la tua esperienza personale? – chiesi al radioascoltatore all’altro capo del telefono. – Sì, certo Dave. Be’ bisogna innanzitutto dire che in questo centro in cui la cultura predominante è quella mazateca – una delle numerose etnie indigene dello stato meridionale di Oaxaca – il consumo di questi funghi è un’usanza che risale a centinaia e centinaia di anni fa, e quindi è ben radicata e presente in molti aspetti della vita di questo villaggio e dei suoi abitanti. Ciò che però ha reso famoso questo paesino in Occidente fu la sua “scoperta” da parte di Gordon Wasson, uno studioso di etnomicologia, vale a dire la scienza che studia la funzione dei funghi allucinogeni sulla storia delle società umane. Questo Wasson conobbe una curandera, vale a dire una sciamana, la non ancora celebre a quei tempi, María Sabina – stiamo parlando dei primi anni ’50 – e la convinse a rivelare al mondo i segreti dei funghi, attirando tra le montagne di quest’angolo di Messico – e di certo spingendo il tutto verso una mercificazione vergognosa – personaggi famosi tra cui Albert Hofmann, lo scopritore dell’LSD, e Adouls Huxley, il padre spirituale del movimento hippie, seguiti da schiere di poeti, musicisti e artisti vari, tutti alla ricerca di quelle esperienze psichedeliche che nei decenni successivi, in particolare gli anni tra la fine dei ’60 e i primi anni ’70, parevano essere indispensabili per cambiare una società che si stava preparando a una rivoluzione culturale senza precedenti. Poi purtroppo la nostra società, non solo non è cambiata in meglio, ma è regredita ai livelli che ben conosciamo, e forse varrebbe la pena chiedersi se ne è valsa davvero la pena dissacrare in quella maniera i funghi che quelle popolazioni venerano così intensamente. – Be’, forse no – risposi a Robert, per poi rilanciare: – Vorrei però capire perché tu, che sembri, da come ti sei presentato una persona attenta e sensibile, hai voluto avvicinarti a questa pratica, contribuendo nel tuo piccolo, forse ad alterare e corrompere quel mondo che si reggeva sulla sacralità di questi funghi. Il mio naturalmente non volle essere in nessun modo un attacco a Robert, che difatti capì immediatamente, anche se in un certo senso ammise di avere anche lui delle colpe. – Ti devo confessare Dave – disse Robert in tono sereno e riflessivo – che all’inizio anch’io ero attirato più dal lato psichedelico dell’esperienza, sì insomma avevo già provato più di una volta l’LSD, e avevo sentito meraviglie di questi funghi, che a quei tempi consideravo alla strenua di altre droghe. Poi però ebbi la fortuna, e di certo il buon senso, di prepararmi all’esperienza avvicinandomi pian piano e con il dovuto rispetto, sia alla cultura mazateca, sia ai funghi in quanto oggetti sacri, per cui l’esperienza fu, non so come potrei definirla senza banalizzarla: piacevole, gradevole, interessante? Gli aggettivi si spreccherebbero e nessuno di quelli esistenti avrebbe spiegato bene ciò che provai. Ma fu anche di grande arricchimento spirituale, una specie di riconciliazione tra ciò che di negativo ero, e lo ero in molte cose, e quel poco, ancora troppo poco di positivo nonostante i funghi, che sono oggi. “Cazzo, questo Robert parla benissimo” pensai guardando Isidro che all’istante indovinò la mia soddisfazione approvando il tutto alzando il pollice della mano destra. – Bene Robert, è venuto il momento di parlarci della tua esperienza, a te idealmente il microfono… Così Robert, stranamente un po’ imbarazzato, cogliendo forse nella mia voce una qualche velatura di pacata soddisfazione, iniziò il suo racconto.

Allora Dave, quando giunsi a Huautla con altri due amici in una mattinata nebbiosa e piuttosto fredda di molti anni fa, andammo subito alla casa di una certa Doña Julieta – una sciamana o sabia come chiamano da queste parti queste particolari “sacerdotesse” – da molti considerata l’erede di María Sabina. Me l’aveva raccomandata un tipo di Sacramento, uno che ogni tanto portava addirittura tutta la famiglia, bambini compresi, a purificarsi in una seduta con i funghi, e del resto a Huautla tutti, ma proprio tutti consumano questi funghi che ricordiamolo, hanno anche poteri curativi a livello fisico, oltre che spirituale. Comunque sia, quando arrivammo, ci presentammo a Doña Julieta, e le spiegammo le nostre intenzioni, il nostro desiderio di conoscenza e i propositi personali più profondi che animavano ognuno di noi a compiere quell’esperienza. Doña Julieta, dopo aver ascoltato attentamente ognuno di noi, acconsentì a iniziarci ai funghi, precisando che la cerimonia avrebbe avuto luogo verso sera in casa sua – in una stanza con il pavimento in terra battuta, come del resto anche le altre stanze della sua modesta casa – e che non avremo dovuto mangiare per tutto il giorno, limitandoci a bere acqua e a riposarci nei durissimi materassi che ci metteva a disposizione in un’altra stanza della casa. Ero naturalmente un po’ nervoso, ma quando giunse sera, e si avvicinò il momento di inizio della cerimonia, ogni paura o incertezza si sciolse come ghiaccio al sole. La presenza della curandera era certamente di grande appoggio per noi, anche perché effettivamente eravamo coscientemente nelle sue mani. Quando accese alcuni pezzi di copale, e soffiò il fumo aromatico di questa resina in direzione dei nostri volti e delle nostre mani per purificarci, capimmo che la cerimonia era iniziata, e difatti subito dopo Doña Julieta ci passò un piatto con la nostra razione di funghi, e dopo aver intonato dei canti in mazateco, ci spiegò che dovevamo ingerire i funghi con delicatezza, lentamente, addentandoli solo con gli incisivi affinché i “bambini che parlano”, cioè i funghi, non si spaventino. Ricordo che la stanza, a parte le candele accese sopra un altare costituito da un tavolo da cucina ornato da fiori, santi cattolici e piume di pappagallo, era buia e fredda, e nonostante avessi la sensazione che non accadesse nulla di particolare, sentii che l’oscurità andava facendosi sempre più intensa, e che il freddo proveniva da dentro il mio corpo, il tutto però vissuto come se ciò fosse normale. Doña Julieta intanto continuava a ripetere i suoi canti, che sembravano dolci ninnananne dal potere protettivo, mentre sentivo il mio corpo sempre più pesante, esattamente come l’oscurità che mi circondava. A un certo punto, iniziai ad avere le prime visioni, accompagnate dalla netta sensazione di essermi sciolto e di trovarmi al di fuori dal mio corpo, come se il mio Io, fosse diventato pura energia. Vidi chiaramente minuscole e fantastiche figure luminose che rischiaravano le tenebre che erano calate attorno a me, mentre si avvicinavano alla mia persona, divenendo grandissime quando giungevano in prossimità del mio Io, per poi scomparire alle mie spalle. Sentii in quei momenti, un’infinita stanchezza, come se tutte le fatiche della mia vita, si fossero accumulate in quel momento, e mi accorsi di aver perduto la cognizione del tempo, e di star correndo il rischio di smarrirmi. La sciamana intanto continuava a cantare, e avvertii chiaramente che quei canti erano gli unici contatti che ancora mi permettevano di non perdere completamente la bussola, per cui pensai – o forse dissi supplicandola, ma non potrei giurarlo – che continuasse a cantare, e la pregai, e mi sciolsi in un pianto tristissimo e infinito, mentre lei prese a strofinarmi le braccia con una mistura che chiamava “sampedro”. Sentivo che, dove mi aveva strofinato la signora, scorreva uno sfrigolio pungente, e mi rallegravo, pur nella drammaticità del momento, che il dolore non si installasse in qualche parte del mio corpo – corpo la cui percezione mi era ancora molto vaga – ma scorresse via, verso quel buio infinito che mi circondava, senza per questo provare angoscia o inquietudine. All’improvviso mi assalì un’immensa gioia, come se capissi all’improvviso di dover molto a questa donna che con i suoi canti mi stava guidando in mezzo a tutto quel buio. Vidi grosse lacrime di gioia scendere dai miei occhi, e quando provai ad asciugarmele con la mano, potei vedere la mia mano gigantesca e luminosissima che rischiarava l’oscurità. Poi lentamente, fui catapultato in uno stato di veglia, dove non c’erano più visioni luminose e fantastiche immerse nel buio, ma osservavo già la realtà, pur con qualche piacevole supplemento, come ad esempio il vedere chiaramente respirare i fiori che Doña Julieta aveva posto sopra l’altare prima dell’inizio della cerimonia. Poi, quasi senza accorgermene, lentamente la realtà tornò ad essere ben definita, evidente e stabile. Mi accorsi di essere tornato dal viaggio affamato e pieno di energia, nonché pienamente consapevole dell’immensa ignoranza che ci avvolge, e con due ricorrenti domande che in quelle ore rimasero inespresse: quale meraviglia nascondiamo nella nostra mente? E perché la teniamo nascosta?

(fine seconda parte – continua…)

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