Alla ricerca di Aztlán (i maya, l’EZLN, la dignità e altre storie…)

La Guerra delle Caste era terminata da più di trent’anni con la sconfitta definitiva degli ultimi maya ribelli, ma ancora rarissime tribù non vedevano di buon occhio né l’intromissione dello stato messicano nei loro affari, né tanto meno che degli stranieri, fossero stati pure degli insospettabili come potevano sembrare i due naufraghi, si avventurassero dalle loro parti.”

(tratto da “Alla ricerca di Aztlán pubblicato da pochi giorni per la WritersEditor)

Anche se nel mio ultimo libro, il romanzo “Alla ricerca di Aztlán“– da qualche tempo acquistabile qui https://www.amazon.it/dp/B0C7S4752S?, di cui potete avere più informazioni qui https://gruppowriterseditor.it/prodotto/alla-ricerca-di-aztlan/ e volendo richiedibile pure in libreria –, la genesi della civiltà azteca, come un po’ si evince dal titolo, è in fondo la base di tutta l’opera, non ho disdegnato di citare nel romanzo pure l’altra grande civiltà che ha vissuto, e continua a vivere oggi, nella nazione che in pratica mi ha cambiato la vita: il Messico. Dico che continua a vivere oggi, perché solo in Messico, precisamente negli stati meridionali di questa nazione, sono circa 1 milione e 600 mila i nativi maya http://atlas.inpi.gob.mx/mayas-estadisticas/, che continuano a vivere nelle terre che furono dei loro antenati, suddivisi in varie tribù, e parlanti decine di lingue spesso molto differenti tra di loro, alla ricerca in fondo della loro Aztlán. Una parte di loro vive nelle periferie delle città e cittadine del sud-est messicano (Mérida, Valladolid, San Cristóbal de las Casas, Campeche, Tuxtla Gutiérrez e altre), mentre una buona parte di integranti di questi gruppi vive in villaggi spesso in piena selva dove, ancor più dei propri fratelli di città, soffre di povertà ed emarginazione. La dignità invece, quella no; la caratteristica che forse accomuna più di altre le diverse etnie maya sembra proprio questa, trasmessa agli attuali nativi che popolano il sud-est messicano dai propri antenati. Perché se è vero che l’era di maggior sviluppo di questa civiltà è tramontato da secoli ormai, non lo è appunto la dignità data anche dalla consapevolezza, istintiva o meno, di essere gli eredi della più evoluta civiltà che abbia mai prosperato nelle due Americhe. Non mi soffermerò in questo articolo su origini e storia di questo popolo, rimandando il gentile lettore a questo link https://www.nationalgeographic.it/chi-erano-davvero-i-maya per approfondire la questione. Qui invece, mi soffermerò brevemente sui periodi del tardo post-classico e sulla storia relativamente recente di questa civiltà, sia per contestualizzare il periodo trattato sul romanzo, sia per cercar di rispondere alla domanda, attraverso un’ipotesi plausibile che un grande scrittore esperto di Messico e mexicanidad come Pino Cacucci ha ripreso da altri, che da decenni gli studiosi si pongono: com’è implosa la civiltà maya? Bisogna fare innanzitutto una premessa già accennata precedentemente: l’evoluta civiltà maya era, ed è tutt’ora, suddivisa in svariate tribù che nel periodo precedente all’arrivo degli spagnoli, la fine del tardo post-classico – si parla di secoli prima dello sbarco di Colombo in America – erano spesso in lotta fratricida tra di loro. A questo bisogna aggiungere il fatto che, più o meno come l’odierna civiltà occidentale – con cui si potrebbe anche fare un parallelo considerata la curva di decadenza in cui il nostro mondo sembra stia cadendo, ma che a differenza di quello maya, rischia di portare fin giù nel baratro buona parte delle creature animali e vegetali che vivono in questo pianeta –, lo sviluppo tecnologico e il cosiddetto progresso, ieri come oggi, hanno richiesto e richiedono uno sfruttamento ambientale su larga scala, che anche nel caso dei maya sembra aver influito notevolmente sulla scomparsa della loro civiltà. A questo si deve aggiungere, sembra assodato, anche se per ora la cosa resta poco più che un’ipotesi, che le classi inferiori delle varie città-stato che i maya edificarono, oppressi da una classe religiosa e militare che aveva perso ogni contatto con la realtà, e prime vittime della crisi sociale e ambientale che le continue dispute tra le varie città-stato avevano portato, semplicemente deposero uno ad uno i tiranni che in maniera così spietata li sfruttavano. Così facendo, contadini e operai, decapitarono il sapere della civiltà maya, perché esclusiva delle classi agiate, riportando quel che restava della loro civiltà nella selva, a coltivare la terra e nelle coste a pescare il pesce. All’arrivo degli spagnoli i maya già non erano più quella civiltà che nel continente americano, sia a nord che a sud, non aveva uguali in tutti i campi del sapere e dell’arte. Ma nonostante ciò, a differenza degli aztechi piegati da Cortés nel giro di pochi mesi, i maya opposero agli spagnoli una resistenza secolare, tanto che solo nel 1901, con la fine della Guerra delle caste https://biblio.toscana.it/argomento/Guerra%20delle%20caste, le ultime tribù maya vennero definitivamente assoggettate. E arrivando ai giorni nostri, nel lungo elenco delle rivolte a cui le popolazioni di stirpe maya hanno partecipato, non bisogna dimenticare la sollevazione zapatista del 1994 nel Chiapas https://attac-italia.org/il-nafta-e-la-sollevazione-zapatista-in-chiapas/, quando migliaia e migliaia di contadini indigenti insorsero contro il malgoverno di Città del Messico, accompagnati dal loro portavoce, il subcomandante Marcos, oggi subcomandante Galeano, sotto i vessilli della bandiera messicana, della Vergine di Guadalupe e del ritratto di Emiliano Zapata al grido di “Tierra y libertad“. Oggi, intere zone dello stato del Chiapas, il più meridionale e il più povero in quanto a reddito pro-capite dell’intera federazione messicana – ma uno dei più ricchi in quanto a risorse – pur restando formalmente nell’ambito della Repubblica messicana, sono sotto controllo, più o meno completo, degli zapatisti, che hanno suddiviso questi territori in caracoles https://www.intersezionale.com/2021/03/17/12409/, amministrati, nei limiti e con i vantaggi della loro autonomia, secondo i principi della democrazia di base. Tutto questo, e molto altro, dimostra ancora una volta, non solo che le popolazioni maya sono ancora vive, non solo che attraverso questa ricerca di una propria forma di governo autonoma – una ricerca, se si vuole, di una sorta di loro Aztlán, collettiva questa volta – ancora una volta dimostrano di essere in fondo molto più avanti di noi, ma anche, e non è poco, che è proprio la dignità la caratteristica che forse più di altre ha fatto in modo che oggi, terzo millennio dell’era cristiana e probabile preludio della fine di quella cosiddetta civiltà, la nostra, che ha l’arroganza di ergersi ad esempio, cercando al contempo di far scomparire tutte le altre, si possa parlare ancora di maya come una popolazione che fortunatamente, a garanzia di quella diversità che è fondamentale affinché la vita possa ancora esistere sul nostro pianeta, non si è ancora estinta…

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