México Sur Real – Il tavolo di André (prima parte)

C’era una volta un villaggio – “y por supuesto existe todavía”, ossia di certo esiste ancora, direbbero i suoi odierni abitanti – dal fiabesco nome di Tzintzúntzan, il quale era anche una delle capitali del regno dei purépechas, governato da molto prima che arrivassero gli spagnoli, da un re buono e giusto che di nome faceva Tzitzi Pandácuare. Questo re, che era amatissimo dai suoi sudditi e dalla sua famiglia tutta, aveva una figlia bellissima di nome Zirahuén, i cui occhi erano brillanti come la giada, il cui sorriso illuminava le notti più buie e tenebrose, e le cui forme sensuali erano il desiderio proibito di decine e decine di giovani guerrieri purépechas che aspiravano a diventarne sposi e amanti. Lei fino a quel momento non aveva dimostrato apertamente nessun interesse verso alcun giovane, anche perché era poco più che una ragazzina, comunque già molto ben sviluppata e sufficientemente matura per certi “pruriti giovanili”. In realtà più di qualcle volta si era soffermata ad ammirare qualche bel giovane muscoloso e aitante, ma difficilmente dava a vedere l’interesse che poi lei provava, mettendo diligentemente in pratica gli insegnamenti di nobile pudore che aveva ricevuto fin dalla più tenera età. Quando però vide per la prima volta quell’affascinante guerriero di Pátzcuaro che veniva a chiederla in sposa alla testa di una processione di canoe, se ne innamorò all’istante, dimenticandosi in un secondo le maniere da principessa che le erano state impartite, congedandosi così in quello stesso momento dagli anni di spensierata fanciullezza e iniziando i primi anni da donna. Anche per il giovane guerriero l’innamoramento fu un vero e proprio colpo di fulmine, e da canto suo, il re Tzitzi Pandácuare, non avanzò alcuna riserva agli evidenti propositi dei due innamorati. Dopo qualche tempo quindi, i due si sposarono in una cerimonia sfarzosa che fu ricordata per lunghi anni, e iniziarono così la loro meravigliosa vita coniugale. Sembrava che la felicità avrebbe accompagnato la giovane coppia per tutta la vita, ma il destino aspettava al varco, sotto forma di sanguinaria guerra. Successe difatti che un brutto giorno, il buon re Tzitzi Pandácuare, si presentò dal giovane genero chiedendogli di guidare i suoi guerrieri nell’imminenza di un conflitto contro i mexicas, giacché questi, loro acerrimi nemici da sempre, stavano avanzando velocemente da sud, nell’ennesimo tentativo di sottomettere il regno purépecha al potere di Tenochtitlán. Il coraggioso guerriero non perse un solo istante, e dopo aver radunato i più valorosi soldati purépechas, e aver salutato l’amata Zirahuén promettendogli di ritornare presto, si gettò a capofitto all’inseguimento delle orde azteche, nel tentativo di intercettarle e annientarle. Quando ciò accadde, la battaglia scoppiò cruenta, con lo sposo di Zirahuén che brillava su tutti per forza e coraggio, tanto che lasciò sul campo di battaglia decine e decine di cadaveri mexicas. Proprio da un presunto cadavere mexica, che in realtà era un soldato che stava fingendo di essere morto, arrivò però la fine dei sogni di felicità e gioia per la giovane coppia, che si materializzò in una freccia assassina che colpì il valoroso guerriero purépecha a morte. La notizia della morte del proprio amato raggiunse Zirahuén in poco tempo, e quando finalmente la principessa seppe della sorte del proprio sposo, cadde in uno stato di totale depressione, tanto che pareva che volesse aspettare la propria morte nella maniera più dolorosa possibile: lasciandosi morire lentamente. Gli dèi allora, commossi da tanto amore e da tanto ingiustizia, dopo aver nel frattempo elevato il marito di Zirahuén a dio della guerra a riconoscimento del valore e del coraggio dimostrati in battaglia, portarono lo spirito della giovane vedova al centro della profonda vallata sui cui pendii sorgeva appunto Tzintzúntzan, per permettere al valoroso guerriero di vedere meglio la sua amata, facendo poi scaturire ai piedi dello spirito della morente Zirahuén, una fonte d’acqua purissima, che in breve tempo andò a formare il lago su cui ancora oggi sorge Tzintzúntzan, il lago di Pátzcuaro.

Chissà se André l’avrà mai ascoltata questa leggenda nel suo periodo di soggiorno sulle rive proprio di quel lago, anche se sulla sponda opposta a Pátzcuaro e Tzintzúntzan, cioè a Erongarícuaro. E chissà cosa mai avrà trovato in quel paesino, Erongarícuaro appunto, privo di qualsiasi seppur minima attrazione, per passarci un anno abbondante della propria intensa vita. L’unica cosa chiara, oltre al dato storico certo della presenza di André Breton, con tanto di casa presa in affitto per oltre un anno in paese, è che il grande artista francese, padre del surrealismo, considerava il Messico “l’unico paese veramente surrealista”, ed evidentemente a Erongarícuaro trovò, nella vita di ogni giorno, quello che ai suoi occhi di straniero poteva sembrare l’essenza stessa del surrealismo. Certo la pochezza del paese, che a quei tempi probabilmente doveva essere quasi annichilente, potrebbe in parte spiegare la supposta atmosfera surreale che André qui vi trovò, resta comunque un mistero su cosa attirò anche molti altri grandi artisti come ad esempio Diego Rivera e Frida Kahlo, Pablo Neruda o Octavio Paz, María Félix o Gabriel García Márquez, che vennero a perdersi tra le strette viuzze del paese, in una sorta di pellegrinaggio che aveva, questo sì, un che di surreale, neanche il paese fosse una specie di Betlemme pagana. André comunque, al di là del fatto che il paese non fosse di certo all’altezza dal punto di vista culturale di Città del Messico per esempio, dove l’artista francese visse prima di scoprire quest’angolo di surrealismo nello stato del Michoacán, sembrò apprezzare fin da subito l’atmosfera del paese, tanto che invitava di continuo a casa sua, i suoi amici, artisti ed eccentrici come lui, per passare assieme intere nottate di discussioni intellettuali e baldorie più o meno turpi. In una di queste nottate, gli ospiti di quelle lunghe disquisizioni, e delle ancor più lunghe bevute che Breton era solito organizzare, furono niente poco di meno che la coppia Diego Rivera e Frida Kahlo. I tre formavano sicuramente un terzetto “surreale” e non tanto per non c’entrare nulla con il contesto in cui erano in quel luogo immersi – un contesto indigeno sicuramente lontano anni luce dalla vita di città da cui provenivano tutti e tre – quanto per la loro diversità fisica, tanto che si sarebbe potuto catalogare i tre in questione come tre aspetti, ognuno agli antipodi degli altri, della grande famiglia umana, poiché Rivera era un omaccione grande e grosso, la Kahlo una donna mingherlina e un po’ bruttina, ma con un fascino particolare che la rendeva desiderabile a tutti, e Breton pareva quasi un professore francese tutto ordine e disciplina, anche se forse un po’ pazzoide. Le apparenze però, come spesso succede, erano ben lontane dalla realtà. Diego Rivera ad esempio, nonostante la mole e le apparenze da uomo rude e rozzo, si dimostrava, a chi aveva la pazienza di conoscerlo a fondo, sensibile e delicato, come se il suo corpo gli fosse stato dato per sbaglio al momento della nascita. Frida Kahlo invece, pur con gli evidenti difetti fisici che non si vergognava mai di portare con sé, risultato di un terribile incidente avuto in giovinezza, e conseguentemente con una sorta di fragilità congenita che sembrava traspirare da ogni su gesto, era, al contrario, spesso una donna forte e muy mexicana, orgogliosa della sua patria e della sua condizione di donna. Breton per ultimo, era quello dei tre che più aveva l’aria da intellettuale, da professore delle scuole alte, anche se a ben guardare aveva un che di lucida follia che gli scintillava negli occhi, probabilmente il seme stesso del surrealismo che ha donato al mondo nel corso della sua vita. I tre dunque, più Jacqueline, la moglie di Breton, dopo una lunga cena al ristorantino di Doña Mari, ristorantino in cui André cenava quotidianamente, e dove proprio quella sera l’artista francese ebbe per l’ennesima volta la “riprova” del surrealismo del Messico – in realtà un banale episodio con protagonista un maialino che dopo essere entrato dalla porta principale, e spaventato dal normale baccano del ristorante, uscì zampettando dalla porta sul retro – si recarono rumorosamente alla dimora di André, dove li aspettava altro brandy, altro tequila, e chissà cos’altro. Diego e Frida, come al solito, avevano litigato tumultuosamente, prima al ristorante, dove la discussione aveva avuto inizio su toni anche accettabili, poi per strada dove era esplosa in tutto il suo fragore, e per ultimo in casa di André, dove grazie anche all’alcool, aveva raggiunto livelli da tentativo di omicidio o quasi. Tutto questo, in qualsiasi altro posto della Terra, avrebbe come minimo catturato l’attenzione dei vicini, che magari avrebbero chiamato la polizia, e la mattina dopo in paese, chissà quanti pettegolezzi “su quello che è successo questa notte in casa del francés”. A Erongarícuaro invece, ogni persona sembrava fosse libera di dire e fare tutto ciò che voleva senza per questo subire inutili “processi morali” pubblici, tanto che tutti gli eccessi sembravano tollerati indiscriminatamente. Una serata da dimenticare in fretta dunque, con Diego e Frida che ormai quasi all’alba se ne vanno a dormire ognuno per conto proprio – anche se pare che Frida, in assenza di Breton, frequentasse nelle occasioni utili anche la stanza da letto della moglie di quest’ultimo – e con André che cerca nella tenue luce della madrugada di Erongarícuaro, e nei fumi dell’alcool che gli annebbiano la ragione, una qualche rivelazione, magari sotto forma di sogno, per qualche suo scritto o per una qualche poesia. E così, dopo una notte di eccessi e di furibonde litigate, con lo spuntare del sole, anche il silenzio fa la sua comparsa in casa Breton, mentre fuori il paese pian piano si risveglia e riprende la propria serena esistenza, fatta di frenesie appena accennate e pacate attività lavorative. Quando André si risveglia, sollevandosi dal divano dove ha dormito non essendo riuscito a raggiungere a letto la propria moglie, il sole è ben alto in cielo, e i suoi raggi infiammano già tutto il paese. Si dirige svogliatamente verso la stanza di Diego, ma la trova vuota, neanche i bagagli o qualche vestito, e poi ancora un po’ inebetito fa per raggiungere la propria stanza da letto, quando all’improvviso, proprio dalla sua stanza dove avrebbe dovuto dormire con la moglie, esce Frida che rivestendosi in fretta lo saluta con modi spicci, brontolando qualcosa contro Rivera. – Vi aspettiamo nuovamente – riesce a dire André, aggiungendovi in tono non troppo convinto – quando volete, siamo qui. – Ma che cos’è successo? – chiede il francese alla moglie che indolente si sta lentamente rivestendo. – Come non ti ricordi? – gli fa lei simulando indifferenza, mentre neanche lo guarda. Lui, non ancora totalmente sveglio gli fa segno di no, e così la moglie, in un altro sforzo di nonchalance, che fra l’altro simula proprio bene, gli racconta che la sera prima i due hanno litigato per i tradimenti di Diego nei confronti di Frida, che quasi si uccidevano e di come la Kahlo, alla fine, abbia dormito in stanza con lei “…poiché tu non c’eri”. André è ancora assonnato, talmente assonnato che non fa caso a quest’ultima frase della moglie pronunciata in maniera a dir poco sibillina, e dopo un lungo sbadiglio si libera dei vestiti e si va a fare un bel bagno rigeneratore, non prestando caso al proprio letto su cui sembra abbiano lottato due giaguari. La moglie intanto si riveste in fretta, e dopo aver dedicato qualche minuto al trucco e al pettinarsi, prima che André esca dal bagno, lo precede nel soggiorno, dove la donna di servizio ha già servito la colazione. Quando André esce dal bagno, si dirige frettolosamente in stanza da letto per vestirsi e mettersi in ordine, ma quando si chiude la porta alle spalle, la sua attenzione viene finalmente catturata dal disordine estremo che Jaqueline – e di conseguenza anche la Kahlo, visto che hanno dormito insieme – hanno lasciato nella sua camera. In particolare è abbastanza evidente che nel letto le due non hanno solo dormito, visto che lenzuola, cuscini e coperte, sono dappertutto tranne dove dovrebbero essere, ossia nel letto. ”Mah” pensa André, mentre pian piano inizia a rivestirsi “mi sa che Jacqueline mi dovrà qualche spiegazione dopo, in sala da pranzo”, e mentre pensa a questo, sente il portone d’ingresso alla casa, chiudersi rumorosamente. Incuriosito, scosta la tenda per vedere se è uscito qualcuno e in effetti, vede la moglie che frettolosamente si allontana in direzione del lago. “Mi sa tanto che quelle spiegazioni me le darà più tardi, forse…” impreca mentalmente André, interrogandosi ancora sul perché di tanta confusione in camera da letto. Successivamente lo scrittore francese si avvia verso il soggiorno, e dopo una ricca colazione alla messicana, e dopo aver letto il giornale e i suoi ultimi scritti, esce finalmente da casa, con il sole che brilla alto nel cielo, e con la maggior parte della gente che sta quasi per andare a fare la quotidiana siesta pomeridiana. “Dovrò sbrigarmi se voglio trovarlo ancora nel suo piccolo laboratorio” pensa André, mentre si muove ancora a fatica lungo le stradine di Erongarícuaro. In effetti, André deve recarsi da un falegname, che un amico in paese gli ha indicato per farsi fare un tavolo per il proprio studio, e se vuole trovarlo ancora lì, nel suo piccolo laboratorio, deve sbrigarsi, “perché in Messico non ci sono orari, e non si sa mai se si è in anticipo o in ritardo” pensa ridacchiando il grande poeta francese. Cosicché, allungato sensibilmente il passo, si dirige senza indugio verso il negozietto di questo tipo, uno dei tanti che come lui hanno una piccola attività di questo tipo in paese. Certo, lui è uno dei tanti, però il suo amico gli ha assicurato che in quanto a perizia nel suo lavoro, è senza dubbio il migliore e il più veloce nelle consegne, per cui André, al momento di decidere a chi far compiere quel lavoro, non ha avuto il minimo dubbio, e ora si sta recando appunto dal tipo in questione. Le calles di Erongarícuaro, a quell’ora si stanno lentamente svuotando, e il clima è ormai piuttosto caldo, con il sole che picchia forte sulle poche teste prive di sombreros. Per fortuna almeno lo spettacolo del cielo – di un azzurro intenso e purissimo, privo di anche solo un accenno, che fosse uno, di nubi – ripaga in parte la gran calura, e la magnifica vista delle montagne attorno, ripaga l’altra di parte, cosicché il clima avverso risulta alla fine essere poco più che un trascurabile fastidio.

(fine prima parte – continua…)

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