“Sono l’Oceano Pacifico…”

“Sono l’oceano Pacifico e sono il più grande di tutti”. Con queste parole Hugo Pratt, il maestro lidense padre di Corto Maltese e della letteratura disegnata, più di cinquant’anni fa introduceva l’incipit de “Una ballata del mare salato“, capolavoro prattiano dal livello assoluto pressoché ineguagliabile. A quest’opera di Pratt, così come ad altri capolavori di questo genere letterario, suoi e di altri suoi colleghi, contemporanei e no, mi sono avvicinato da ormai almeno due anni a causa della nuova sfida che dalla fine del 2019, in compagnia di #GasMax67, ho intrapreso, ovvero la realizzazione di una sorta di fumetto sulla vita e l’opera dell’eccentrico milionario inglese Edward James, intitolato “Xilitla“. Quello stesso incipit, anche se non completamente in linea con la nostra modesta opera, apre comunque scenari su suggestioni già affrontate nei venti e passa anni di attività più o meno letteraria del sottoscritto, immaginari riconducibili direttamente a quella sorta di categoria legata ai grandi spazi e agli orizzonti sconfinati che tanto hanno dato alla letteratura da viaggio. È dunque anche su quelle vaghe coordinate, in continuità con la mia modesta produzione letteraria appunto, che si snoda il percorso narrativo di “Xilitla” tanto da condividere proprio tra le pagine in realizzazione, delle analogie con il pensiero dei comics anni ’70, alcune che forse riscontrabili in questa nostra prima e unica opera di questo genere, non ci accomunano pienamente ai lavori di quella generazione di illustratori e sceneggiatori, altre che insospettabili, emergono invece appena, e a sprazzi, tra quelle pagine. Mi riferisco, è abbastanza ovvio ad esempio dall’introduzione, della “Ballata” e di questo scritto, al rapportarsi dello scrittore, o dello scribacchino nel mio caso, con questi grandi e sconfinati soggetti di Madre Natura, che sono poi la natura stessa, al confronto tra il foglio bianco che mi stava davanti prima di iniziare a scrivere, con lo stato d’animo che provoca un tramonto sull’oceano, un’alba nel deserto o una notte stellata sulle strade sterrate australi, a prescindere poi dalla fatto che questi scenari siano o meno reali. O appunto, a ciò che nasce dallo sguardo meravigliato che inquieto si posa sulle sculture che Edward James fece costruire, in perfetto connubio con la natura di quei luoghi, in quel di Las Pozas, Xilitla, Messico. Questo genere di impostazione narrativa dunque, genere che finisce inevitabilmente per assomigliare al sogno e alla volontà, più o meno inconscia, di voler raccontare più di ciò che emergerà poi dal nostro libro, finirà per riempire letteralmente la scena anche in “Xilitla” , e spesso, come fece varie volte Pratt, per poter scrivere, ma pure leggere quelle pagine, ci si è dovuti, e ci si dovrà immedesimarsi con quei fenomeni (un oceano, un deserto, un tramonto, una giungla lussureggiante), ancor prima che nella loro interezza, nella loro essenza più profonda. E per fare ciò, oltre che attingere a immaginari alimentati da libri e suggestioni che in qualche maniera richiamino quegli scenari, non si è potuto far altro che ritornare con la memoria sui viaggi del passato, considerato il periodo di pandemia che ha costretto praticamente alla segregazione o quasi, gran parte dell’umanità. Caratteristica che sicuramente non ci accomuna con l’opera prattiana invece, è prima tra tutte lo “sdoppiamento” autoriale che riguarda la sceneggiatura e il disegno vero e proprio, in quanto Pratt e molti altri artisti di quel calibro (penso a Crepax, ma pure a ZeroCalcare per esempio) sono autori sia dei disegni che della sceneggiatura (contribuendo così all’avanzamento realizzativo, di pari passo, tra storia e disegno nell’opera, particolare che forse risulta più efficace a livello produttivo in questo genere di lavori), mentre nel nostro caso la sceneggiatura è stata realizzata dal sottoscritto mesi prima che i disegni venissero completati da #GasMax67, anche se comunque questa cosa non ci scoraggia poi più di tanto, dato che ad esempio Manara ha realizzato “Viaggio a Tulum” su una sceneggiatura scritta da Fellini con modalità e tempi simili alla nostra maniera di lavorare. Comunque sia poi, vaga appartenenza o meno a un dato genere letterario, e al netto delle comunque grandi differenze qualitative tra il nostro lavoro e le opere dei maestri della letteratura disegnata, resta almeno l’audacia di provarci, cavalcando quella che è semplicemente una passione aliena da altri interessi, e soprattutto da mode effimere (mi riferisco in particolare al segmento contemporaneo della letteratura disegnata, che da più di un decennio abbondante ha incominciato a essere definito, a livello popolare, con l’improprio e iper-abusato termine inglese, graphic novel) che spesso hanno quasi esclusivamente una ragione di esistere prettamente commerciale e che alla fine può interessare più un venditore di qualsiasi genere di merce che non chi ritiene di avere poi qualcosa da dire veramente, per quanto poco questo possa interessare a qualcuno ed essere valido o meno. Ma di questo solo i nostri lettori, sperando siano essi numerosi, ma soprattutto curiosi, potranno alla fine confermare o meno queste nostre aspettative … 

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