A proposito di… rivoluzioni

Se c’è una cosa che più di due secoli di rivoluzioni sparse in giro per il mondo – e altrettanti di reazioni – ci devono insegnare, è che la violenza è quasi sempre stata lo strumento attraverso la quale si è giunti poi all’instaurazione di un qualche regime più o meno rivoluzionario, ma mai alla piena libertà dell’individuo. Spesso infatti, rivoluzioni iniziate sotto le spinte libertarie di settori di popolazione non legate all’ortodossia rivoluzionaria – mi piace ricordare, ad esempio, gli inizi della rivoluzione messicana, con lo sciopero libertario di Río Blanco, quello appena meno libertario di Cananea, e le imprese dei fratelli Flores Magón –, sono state da questi regimi inglobati e digeriti, fino a farne svilire il significato. Altro aspetto negativo che può avere la violenza rivoluzionaria è che spesso, non solo gli aspetti nefasti di un suo uso indiscriminato possono essere usati dalla reazione per screditare agli occhi dell’opinione pubblica le legittime aspirazione di chi suo malgrado è costretto a usarla, ma anche che, non di rado, questa si può trasformare in una sorta di “violenza istituzionalizzata” a rivoluzione conclusa, ad uso e consumo di una qualche polizia politica di regimi ben peggiori contro i quali si era insorti. D’altro canto però, è pur sempre vero che non ci si può di certo aspettare che chi detenga il potere e goda di privilegi immeritati, li lasci perché sono gli anarchici a dirlo… E allora che soluzione adottare? A questa domanda, non penso di avere una battuta pronta qui adesso, su due piedi, ma una traccia, un barlume di risposta ci viene da un vecchio articolo scritto da Filippo Benfante e Piero Brunello pubblicato all’indomani del famigerato G8 di Genova (molto all’indomani visto che è stato pubblicato nell’ottobre 2001) su A-rivista Anarchica. Ebbene, i due studiosi chiudevano così quell’articolo di contorno alle manifestazioni di protesta contro il G8: “Qualcuno a Genova, di fronte a poliziotti armati e con il casco, ha preteso di avere di fronte altri cittadini, scandendo il coro via i caschi, via i caschi’. Questa diventa una richiesta di smilitarizzazione delle forze dell’ordine ed esige di ripensare il ruolo della polizia nei confronti del cittadino.” Sempre a Genova, ma quasi quindici anni dopo, qualcuno (anzi qualcuna, visto che si trattava del vice questore aggiunto Maria Teresa Canessa), al corteo di protesta degli operai dell’Ilva, mette in pratica questo suggerimento, un suggerimento dettato più dal cuore che dalla ragione, e toltasi il casco va a stringere la mano di un operaio… E a questo punto si apre la necessità di una riflessione da cui partire e su cui ragionare, per incominciare a vedere da un altro angolo d’osservazione, quelli che spesso, chi si considera non proprio amico dello stato, oggi vede come puri e semplici nemici.

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