Nel paese del Cervo Azzurro (reprise)

Sperduta tra gli altopiani delimitati a est dalla Sierra Madre Oriental e a nord e a ovest dal deserto, laddove la terra sembra congiungersi al cielo, sorge una cittadina molto particolare, come solo in Messico se ne possono incontrare, un piccolo pueblo che fu città non troppi decenni fa, mentre oggi appare come una sorta di ghost-town dal fascino davvero singolare: il suo nome è Real de Catorce. Real è indubbiamente un luogo che per alcuni versi, è abbastanza difficile da descrivere, immersa com’è in un apparente silenzio infinito. Si ha difatti la sensazione, appena si arriva e per tutto il resto del soggiorno nella cittadina ormai in rovina, che qualcosa di indefinibile, addirittura di magico, avvolga quei luoghi e con loro, la tua persona. La storia del paese caro agli indigeni huicholes è relativamente breve, ma intensa e per certi versi particolare: tutto ebbe inizio verso la metà del XVIII secolo, quando cioè la città venne fondata come insediamento minerario, dato che nelle montagne circostanti erano stati scoperti numerosi depositi minerari d’argento. La bramosia dei cercatori del prezioso metallo, trasformò poi Real in una specie di El Dorado, con tutti i pro e i contro che tale situazione avrebbe creato. Così di fianco alla nuova ventata di ricchezza che era esplosa in questo angolo di Sierra Madre Oriental, e che aveva portato alla costruzione di opere anche utili, come la piccola fontana, una specie di lusso per quei tempi, posta esattamente al centro di una piazzetta un po’ sbilenca, come tutto è sbilenco a Real, si erano creati commerci a volte non troppo ortodossi che avevano dato inizio ad un giro di soldi che avrebbe portato tra l’altro alla costruzione di una Plaza de Toros, l’apertura di numerose cantinas con annesso giro di prostituzione, e una generale “corsa all’oro” che si sarebbe tradotta in una gran numero di problemi sociali che alla fine, sommati ad altre cause molto meno spiegabili, hanno cambiato per sempre il volto di questa cittadina, che sarebbe passata dai 12 mila abitanti di più di un secolo fa, alle mille e qualcosa anime di pochi anni fa.

Oggi Real è abitata anche da una discreta percentuale di stranieri, una piccola colonia formata da giovani e meno giovani che hanno lasciato i loro paesi per trasferirsi qui, con un oceano e la Sierra da frapporre tra loro e i vecchi problemi che si sono lasciati alle spalle. La prima impressione che Real può fare, oltre alla sorpresa del fatto che esistano ancora realtà simili, è un qualcosa che può essere definito come un misto tra turbamento e mistero. Le vie deserte e i palazzi cadenti si uniscono all’austerità del paesaggio nel dare al posto un aspetto che di certo agevola queste sensazioni. La stessa origine del nome è misteriosa: alcuni parlano di quattordici pellegrini, altri di quattordici soldati spagnoli massacrati dagli indigeni cinquecento anni fa. Altri ancora raccontano di una banda di quattordici banditi che depredavano le carovane che trasportavano argento in queste zone. Ma se le origini del nome rimangono ancora misteriose, non altrettanto si può dire dei motivi che spingono migliaia di persone ogni anno a visitare questa ghost-town così particolare. La città sorge infatti sul percorso rituale che gli huicholes, oggi confinati nelle riserve degli stati di Nayarit, Zacatecas e Jalisco, sulla Sierra Madre Occidental, continuano a seguire, lungo le piste la cui memoria si perde nella notte dei tempi. Dopo aver raccolto il peyote che gli huicholes chiamano hikuli, gli officianti al rito, guidati da un marakamé, lo sciamano preposto ad accompagnarli nel viaggio che la loro anima dovrà compiere, salgono al Leunar, il monte sacro che domina Real de Catorce e che gli spagnoli hanno ribattezzato Quemado, dove si svolgeranno i riti e dove dopo aver consumato i peyote, gli indigeni tra lacrime di liberazione e dolore all’anima per le amarezze della vita, confesseranno i loro peccati e grazie al peyote guariranno. Ma che cos’è realmente il peyote e che effetti provoca? A prima vista il peyote, il cui nome scientifico è Lophophora williamsii, è un piccolo cactus come tanti altri. Ma la sua polpa contiene un elevato numero di alcaloidi, nove maggiori di natura narcotica, affini per composizione chimica alla morfina e alla stricnina, e almeno altri ventinove minori, di cui i ricercatori ne hanno isolato circa la metà. Tra questi la mescalina, sembra essere quella che permette i cosiddetti viaggi provocando in chi mastica la piantina visioni colorate associate ad uno stato di benessere generale, allucinazioni, euforia, senso di sazietà, ottimismo, ma talvolta, nausea e vomito. Però è anche vero che la mescalina da sola, non ha gli stessi effetti del peyote, e soprattutto lascia il “viaggiatore” di turno senza più energie, proprio il contrario di quello che fa il peyote, che permette di viaggiare per giorni nel deserto senza acqua e senza cibo, lasciando chi lo ingerisce esattamente nelle condizioni in cui si trovava prima di mangiarlo. E secondo gli avvocati delle tribù che negli stati Uniti hanno lottato per la liberalizzazione, il cactus produrrebbe anche un effetto in grado di arginare l’alcoolismo. Il peyote è endemico nel Texas meridionale e negli altopiani del Messico settentrionale, e il suo uso rituale era praticato già dagli aztechi. Un uso molto più antico è provato da un peyote pietrificato esposto al Witte Museum di San Antonio risalente a 5000 anni prima di Cristo e rinvenuto in una caverna del Texas. L’accostarlo ad altre “droghe”, almeno a detta di quanti lo tengono in grande rispetto, è almeno ridicolo e difatti la classificazione che lo colloca tra gli stupefacenti, la si deve alla presenza della mescalina, ma è impossibile coltivarlo, quindi non si presta ad alcun traffico. E la legge messicana in proposito, non fa poi grande chiarezza, visto che se fino a qualche anno fa il possesso di peyote non era neppure perseguibile, oggi risulta proibito ma con una postilla che ne consente l’uso e la detenzione ad alcune etnie indigene come appunto gli huicholes, che da millenni lo usano e lo venerano. E proprio tra gli huicholes ma non solo, il peyote riveste un’importanza religiosa, ma anche sociale, rilevante. Difatti, durante la cerimonia del peyote che di solito dura un’intera notte, lo sciamano declama i canti sacri che gli vengono suggeriti da Káyumari, il peyote-cervo, il Cervo Azzurro come lo conoscono gli huicholes, e vede Tatewarí, il Dio-fuoco. E questa è la differenza che secondo gli huicholes, c’è tra la loro “religione” e tutte le altre: quando loro guardano il fuoco durante una cerimonia, loro non pensano che Tatewarí sia lì presente, ma ne hanno la certezza, vedendolo e sentendone la presenza.

A Real ci si può arrivare in due modi: o a bordo di una vecchia jeep che due volte al giorno fa la spola fra il paese ed Estación Catorce, l’agglomerato di casupole ai bordi del deserto dove passa la ferrovia, dodici chilometri e mille metri di dislivello più in basso, oppure attraversando l’Ogarrio, uno stretto e angusto tunnel, talmente stretto che di notte, quando i guardiani del tunnel non ci sono, è facile che due mezzi provenienti da direzioni opposte si incontrino, e allora uno dei due deve fare marcia indietro, fino alla fine della galleria, per lasciar passare l’altro. Nel paese del Cervo Azzurro ci sono arrivato, molti anni fa, proveniente da Matehuala, nel desertico San Luís Potosí, in un pomeriggio d’agosto caratterizzato da un calore davvero opprimente. Dopo aver attraversato quel buco nella roccia che è l’Ogarrio, che sembra si restringa man mano che si avanza, si sbuca fuori nel piazzale che immette a Real. Nonostante il caldo, la prima visione del paese è tutt’altro che da città-fantasma: il piccolo mercato proprio davanti al piazzale, il brulicare di turisti che comprano e di abitanti del posto che vendono, i bambini a cavallo che offrono “gite” nel deserto e il piccolo esercito di stranieri che ha scelto Real come nuova residenza la rendono a quest’ora un vivace paese e le voci che la danno in lenta, ma costante decadenza, sembrano tutt’altro che veritiere. Altra impressione fa invece, appena qualche ora dopo il tramonto del sole. La temperatura si abbassa, i turisti spariscono, o rintanati nei piccoli alberghi del paese o addirittura in altre cittadine un po’ più accoglienti nelle vicinanze, e le sue strette e ripide stradine, ritornano ad essere ciò che da più di un secolo a questa parte sono sempre state, cioè il regno di cani, gatti e fantasmi in pena. Ed è a quest’ora che si rivela la vera anima di Real e dei suoi pochi abitanti, che è poi fatta di rispetto ed accoglienza verso chi ha gli stessi sentimenti nei confronti di questo pueblito e verso l’ambiente in cui il paese è perfettamente integrato, tanto da far pensare che esista da sempre, proprio come da sempre esiste il simbolo, o meglio uno dei simboli di Real, il peyote. Inutile nascondere che in molti vengano qui per provarlo, usanza tutt’altro che rispettosa visto che dovrebbe almeno essere fatta sotto la guida di uno sciamano e che dovrebbe implicare la conoscenza da parte di chi lo usa, non solo di tutti i possibili effetti, ma anche di ciò che nel peyote si vuol ricercare. Ciononostante nessuno degli abitanti di Real impedisce, a chi ne abbia voglia, la ricerca e la conoscenza di questo straordinario cactus, a volte addirittura affittando cavalli e guide atti a tale scopo, anche questo comunque, azione non proprio rispettosa nei confronti di una pianta e di una cultura che meritano senz’altro più rispetto. Si può comunque scegliere di fare una gita per conto proprio, senza dover necessariamente andare alla ricerca del peyote, ma solo per poter apprezzare il paese e l’atmosfera nelle sue vicinanze, avendo così la possibilità di venire in contatto con la realtà di questi luoghi. Oppure ci si può fermare in uno dei piccolissimi bar posti al limite tra il paese e le montagne e farsi in tutta tranquillità una birra in perfetta solitudine, o in compagnia comunque discreta, della barista indigena che nel frattempo fa anche da madre al piccolo che sta in un angoletto del minuscolo bar-rivendita d’alimentari, al riparo dal sole e dagli insetti. Oppure ancora si può passare il pomeriggio nella piccola Plaza de Toros, ai cui lati sono poste oggi due porte in ferro che confermano che di tori e di toreros qui, non ne passano più da un bel po’, e che anche qui gli sport più popolari sono rispettivamente correre dietro ad un pallone, e guardare chi questo pallone lo fa correre. E così si ha la possibilità di conoscere qualcuno degli abitanti locali, magari dei bambini, di giocarci assieme e così facendo, farli sorridere per un po’, e loro fare sorridere te. Ma anche quando per Real non c’è nessuno, o ci sono solamente pochissime figure umane e per contro tante “presenze” non meglio identificabili, si ha la possibilità di vivere un altro degli aspetti che rendono Real così particolare. Sto parlando della madrugada, il periodo di tempo con cui in spagnolo si indicano le ore che precedono l’alba, in genere un lasso di tempo considerato di per se magico, non fosse altro perché senza nessuno in giro, si possono vedere le cose in modo differente da come appaiono di giorno, forse più reali. A quell’ora difatti si può andare in giro per il paese, armati di macchina fotografica, girovagando per le sue strette viuzze, tra gli animali che stanno abbandonando il loro territorio notturno per lasciare spazio ai primi indigeni che come fantasmi sbucano dal buio dell’Ogarrio ad un altro buio, quello appunto della madrugada di Real. Si può girovagare, sperando di “rubare” qualche immagine a questo scenario così spettacolare ed effettivamente scattare qualche foto, nonostante tutti i cani, di tutte le abitazioni di Real sembrino essersi coalizzati contro i ladri di immagini che cercano di mostrare al mondo il loro paese. Certo, si può sperare, ma quando ti accorgi che hai a che fare con qualcosa che non riesci a spiegare, indubbiamente più forte di te, che ti cancella letteralmente le fotografie che hai scattato dopo minuti e minuti di pazienti appostamenti, facendole praticamente evaporare allora capisci che forse è giusto così: Real può tranquillamente continuare a essere la mèta di relativamente pochi turisti, attirati qui dal peyote e da San Francesco, la cui immagine, custodita dentro la chiesa di Real, è venerata dai fedeli cattolici almeno quanto il peyote è venerato dagli huicholes.

Un senso di malinconia e inquietudine può assalire chi dopo averla conosciuta per la prima volta, si appresta a lasciarla, aspettando zaino in spalla – magari scambiando qualche parola con el hombre del túnel, ovvero il guardiano che di giorno regola il traffico della galleria – che il pulmino sbuchi dall’Ogarrio, per riportarti dalla realtà di Real, alla irrealtà del nostro mondo. Un mondo, quello occidentale in cui viviamo, che ha perso oramai irrimediabilmente quell’innocenza che ancora permette agli indigeni di questo angolo di Messico, di affidarsi per tutti i loro bisogni, partendo da quelli spirituali e arrivando a quelli più umanamente terreni, ad un Dio che ha le sembianze di un cervo azzurro, che se ne sta nascosto dentro ad un piccolo cactus e che da sempre protegge queste donne e questi uomini semplici dalle amarezze della vita.

Questo, che mi auguro abbiate avuto la pazienza di leggere, è uno dei capitoli – leggermente rivisitato – che sono presenti nel mio primo libro “Un foglio accartocciato. Vagabondaggi in terra messicana.“, pubblicato nel lontano 2009 dalla fantomatica Pirati Edizioni. Invito, come sempre, tutte/i quelle/i che visiteranno le pagine di questo blog a cliccare sui banner pubblicitari presenti su questo e sugli altri articoli passati e futuri. E’ un piccolo fastidio (io stesso non lo farei mai, se non fosse per finanziare in qualche modo un’attività che è principalmente una passione) ma può essere utile per chi, come me, scrive. Ricordo agli attenti lettori inoltre che i libri precedenti pubblicati in cartaceo sono richiedibili  – “México Sur Real” al costo di 14 euro + 1.28 euro (spedizione ordinaria) o 3.63 euro (spedizione raccomandata), “Venti pirati. Storie di venti pirati e di venti di libertà” (15 euro + 1.28 euro in spedizione ordinaria o 3.63 euro spedizione raccomandata) – all’indirizzo: [email protected]. Allo stesso indirizzo vi potete rivolgere per ogni altra eventuale informazione. Grazie

 

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