Schegge di resistenza

Quest’anno l’anniversario della Liberazione, per le vicende legate alla pandemia da coronavirus che ha coinvolto l’umanità tutta, assume un significato particolarmente speciale, e da un po’ tutte le parti, specie da quelle più reazionarie e che ancora sono legate, più o meno strettamente, alla parte politica che risultò sconfitta in quella che in effetti fu una guerra civile vera e propria, la Resistenza, si levano alte le richieste di commemorare per esempio i caduti di tutte le guerre e delle vittime del coronavirus.  Cioè anzichè cantare “Bella ciao”, inno della Resistenza e della liberazione, bisognerebbe passare a suonare l’Inno del Piave… Ben sapendo però che quella che in tanti vorrebbero far dimenticare, fu una tragedia di proporzioni ben peggiori di questa che stiamo vivendo, e soprattutto fu provocata direttamente dalla malvagità insita nell’animo umano,  ho pensato bene, che invece io non voglio dimenticare, e spero che anche grazie a questo modesto contributo, siano in tanti con me a non volerlo… Quello che segue dunque, è in qualche modo pure il mio passato, come lo è per tanti altri sinceri antifascisti del mio Paese, ma è soprattutto una parte dolorosa e intensa della vita di Angelo Sbroggiò, mio nonno paterno, militare prima e partigiano poi durante quella tragedia che prese il nome di Seconda guerra mondiale.

Pochi anni prima dell’entrata in guerra dell’Italia, mio nonno prestò servizio militare. Durante questa parentesi pre-bellica, che svolse tra i granatieri di Sardegna, più che la sua disciplina militare, furono notate le doti extra-guerresche di quel giovanotto prestante e piuttosto alto per la media dell’epoca, giacché possedeva una possente voce melodica e armoniosa, tanto che gli fu “concesso” di cantare, in qualche manifestazione pubblica, in onore della consorte del re Vittorio Emanuele III, la allora regina Elena di Montenegro, che sembra, dalle supposizioni di Vittorio, un cugino di mio padre, si sarebbe pure invaghita di quel bel giovanotto… Allo scoppio della guerra, benché congedato, fu richiamato alle armi, incorporato nuovamente ai granatieri di Sardegna, e spedito al confine italo-francese, un fronte relativamente tranquillo tutto sommato, giacché tedeschi e collaborazionisti francesi avevano già svolto gran parte del “lavoro di pulizia” su a nord, e le forze italiane servivano solo da contenimento a sud… E per aiutare, ovviamente non in forma ufficiale, gli ebrei francesi che scappavano dal regime di Vichy. Nei mesi successivi, si aprì il fronte russo, e mio nonno assieme a tutta la sua compagnia, fu destinato a quel fronte. da cui, ben sappiamo oggi, tornarono in pochissimi… Durante il trasferimento, fecero sosta alla stazione ferroviaria di Venezia Mestre, e mio nonno Angelo, avendo la sua famiglia residenza a Marcon, a pochi chilometri da Mestre, pensò che un saluto ai famigliari, prima di partire per una guerra da cui non sapeva se sarebbe ritornato, sarebbe stato un gesto più che sensato, l’unico gesto di tale genere nell’opprimente disumanità che fu anche quella guerra… Non così però sembrava la pensasse il comandante della sua compagnia, perché al rientro in stazione, convinto in qualche modo di averla fatta franca e dopo essersi riaggregato alla compagnia, proprio il comandante gli diede il “benvenuto” minacciandolo apertamente di volerlo fucilare lì seduta stante… Non si sa bene cosa sia successo in quegli attimi di sbandamento e confusione totale, certo è che qualcuno sembra abbia consigliato al comandante, forse considerando le doti di resistenza mentale e fisica di mio nonno, di commutare la pena in un trasferimento verso il più “caldo”, almeno in quel frangente, fronte jugoslavo dove, dopo che Pietro II con un colpo di stato, detronizzò lo zio Paolo Karađorđević – alleatosi pochi giorni prima con Italia, Germania e Giappone su forte pressione di Hitler stesso –, assumendo la corona, portò il Paese jugoslavo all’intesa formale con le forze occidentali e quindi nemico da combattere proprio per l’Italia fascista, che si trovava quel Paese come scomodo confinante. Mio nonno, a occupazione già in atto, venne perciò trasferito in Croazia dove operò in una zona che non sono riuscito a identificare. Di quel periodo sembra che mio nonno non abbia mai voluto parlare volentieri con nessuno, e difatti l’unico episodio che è giunto ai famigliari fino ai giorni nostri, è quello che gli successe durante una delle rare libere uscite di cui usufruì. Sembra difatti che alla sera, di ritorno al comando dove svolgeva servizio, in una zona presumibilmente piuttosto isolata dell’entroterra croato, venne sorpreso da un branco di lupi affamati. Correndo a più non posso si rifugiò sopra a un albero lì nelle vicinanze, e ricordando all’improvviso che era uscito in abiti militari, con parte della dotazione di cui disponeva, tra cui qualche bomba a mano, ne gettò una a qualche decina di metri dal branco di lupi, che all’esplosione, fuggirono terrorizzati…  Con la sconfitta che man mano andava materializzandosi per le forze guidate dalla Germania nazista, e il progressivo disimpegno italiano, mio nonno ritornò in Italia dove, proprio dalle sue parti, nel sud trevigiano, si unì ai partigiani. Con il battaglione Mirando, inquadrato nella brigata garibaldina Negrin – di cui era commissario politico Corrado Perissino, pittore e anarchico veneziano, reduce dalla militanza armata nelle Brigate Internazionali durante guerra civile spagnola, deportato politico a Ventotene dove conobbe Sandro Pertini, e a Renicci d’Anghiari, vicino ad Arezzo, confino questo raccontato in una graphic novel di Paola Brolati e Fabio Santin – mio nonno fu messo al comando di una piccola unità mobile di nove partigiani che avevano il compito, assieme ad altre compagnie analoghe, di sfiancare con tecniche di guerriglia i tedeschi e i fascisti. Partecipò a varie azioni, tra cui l’assalto e l’occupazione di una filanda in località Zerman, frazione di Mogliano Veneto, di cui avrebbe potuto, come alcuni “sinistri antifascisti” e opportunisti fecero in altre occasioni analoghe, divenirne proprietario a guerra finita, visto il “rango” che occupava nella sua divisione. Ma mio nonno Angelo era persona onesta e nobile d’animo, sebbene di provenienza umile – o forse proprio per questo –, e a fine guerra andò, come tanti, a fare l’operaio a Porto Marghera, partendo ogni mattina, in bicicletta, e percorrendo più di quaranta chilometri al giorno tra andata e ritorno, sotto pioggia, neve o sole che fosse, pur di conservare un lavoro onesto e potersi guardare in faccia, allo specchio, alla mattina…

Grazie al suo e ai tanti altri esempi di italiani onesti e innamorati della Libertà, in Italia vige ancora una qualche forma di democrazia, e senza dubbio siamo più liberi, anche se non troppo a dire la verità, di quanto questi nostri nonni non lo fossero, più o meno, alle nostra età. Ma anche oggi ci sono dei nemici da contrastare e combattere, possibilmente con le idee al posto delle armi, per quanto “quando ci vuole ci vuole”. Questi nemici si chiamano capitalismo, sfruttamento, razzismo, xenofobia, ma si chiamano pure sovranismo (ossia il “moderno” fascismo), autoritarismo, Fondo Monetario Internazionale, fanatismo religioso, opportunismo politico e indifferenza… Perché essere indifferenti significa proprio “non parteggiare”, lasciare che altri decidano al posto tuo, e non sto parlando di elezioni. Indifferenza significa non essere partigiani, e partigiani, oggi lo siamo ancora in molti, donne e uomini che non riescono a essere indifferenti, che non si voltano dall’altra parte, che prendono partito e sostengono questa posizione. E partigiani lo saremo sempre, perché quello spirito che animò quei giovani a insorgere contro invasori interni ed esterni, continuerà di nuovo a spronarci nella ricerca di ciò che riusciremo a conquistare quando finalmente troveremo appieno la libertà, la giustizia e la felicità. E quel giorno saremo ancor di più partigiani…  

“Schegge di resistenza” nelle intenzioni, avrebbe dovuto essere un libro, principalmente sulla vita di mio nonno Angelo Sbroggiò e di altri personaggi tra cui Corrado Perissino e Simón Atilano Jesús Miguel Ramón Ramírez Martínez. Vari accadimenti, tra cui “Xilitla” https://unmonitoraccartocciato.altervista.org/che-cose-xilitla/, il lavoro intrapreso in collaborazione con GasMax, mi hanno fatto momentaneamente desistere da quel progetto, che conto però di intraprendere quanto prima. Questo ne è, a grandi linee, un assaggio, sperando possa piacere…

Essendomi accorto, ormai da diverso tempo che, per motivi legati a un qualche problema al mio account GoogleAdSense, nel mio blog non compare più alcuna pubblicità, e quindi monetariamente non ricavo più nulla dalla pubblicazione di questo e dei precedenti e futuri articoli che mi ostino a scrivere su queste pagine, chiedo ai miei affezionati lettori di contribuire a sostenere questo progetto, nella misura che ognuno riterrà adeguata, attraverso qualche “donazione” una tantum al conto PayPal https://www.paypal.me/piratiedizioni.

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