Ciu-than. Anteprima 8

E con questo brano, tratto dal mio ultimo lavoro, in fase di elaborazione, che si intitolerà “Ciu-than. Noi non vi capiamo. Dal Mayab alla penisola yucateca odierna, vagabondaggi tra Storia e storie”, si chiude il ciclo di anteprime di questo libro che potrebbe uscire in stampa per fine anno o inizio del prossimo. Spero piaccia, come sembrano essere piaciute le anteprime precedenti, e spero che l’attento lettore possa trovare motivi d’approfondimento, come meritano gli argomenti proposti.

Tra i tanti posti da cui, qui a Leon, ogni volta è assolutamente obbligatorio passare per una bevuta o una cena informalissima, vi sono due locali ormai entrati assolutamente nella leggenda, almeno per il sottoscritto. Il primo è un bar stile cantina, o forse sarebbe più corretto dire una cantina un po’ più “addolcita” delle normali cantinas messicane in cui vanno a ubriacarsi gli autentici machos che in questi posti, al riparo da sguardi indiscreti, possono “perfino” premettersi di piangere, ma dove però non è poi così difficile prendersi una sedia in testa se non si è sufficientemente messicanizzati da riuscire ad “agarrar la onda”, termine intraducibile che più o meno significa “capire l’antifona”, “intenderla al volo”, o qualcosa di simile. Si chiama “El Panteon Taurino” http://www.panteontaurino.com.mx/index.html, letteralmente “il cimitero dei tori”, anche se in effetti, i tavoli sparsi nel locale, costruito a forma di plaza de toros, quella che noi in Italia conosciamo come “arena dei tori”, sono la riproduzione di lapidi dei vari toreri, non dei tori. L’atmosfera è festaiola e il grado alcoolico della clientela è piuttosto elevato; quando non ci sono i mariachis ingaggiati da qualche avventore che deve farsi perdonare qualcosa dalla fidanzata, che deve festeggiare qualcosa in particolare o che vuole sfidare un tavolo vicino  – e in genere la sfida è alcoolica –, ci sono le ballate dei paso doble da corrida spagnola. Insomma un posto dove i messicani amano riunirsi e socializzare, tra un brindisi a suon di cervezas e tequila, e un taquito ben unto d’olio, che stando a galla e tenendo l’alcool in basso, aiuta a tenere a bada una più che possibile sbronza. E d’altronde i messicani sono così, a differenza di tanti italiani, soprattutto di alcuni freddi “nordisti” come se ne contano tanti tra conoscenti, colleghi o persone che per qualche affinità potrebbero pure essere amici, ma che però sono capaci solo di giudicare il prossimo dal lavoro che fa, dalla macchina che guida o dal suo conto in banca, gente che magari fa anche finta di rispettare chi li circonda, ma che dietro le spalle sa essere spietato nelle critiche e non solo, incapaci in fondo di un sano e onesto rapporto umano che sia uno. Gli eredi di Cuauhtémoc invece amano circondarsi di amici, viejos cuates, ossia vecchi compagni e compadres, letteralmente padrini, in genere di battesimi, comunioni o matrimoni, in pratica amici con cui si ha un rapporto ancora più stretto di quello che si può avere magari con un fratello. Amano le feste e festeggiare qualsiasi cosa, e amano la raza, il concetto storico che definisce tutte le comunità ispaniche. Sono inoltre molto devoti all’idea di familia, e anche se a volte quest’ultima preferenza appare ipocrita e menzognera, dato che esattamente come gli italiani, anche loro la tradiscono, ne sono, in genere, molto più attaccati. Ritornando però a parlare del “El Panteón Taurino”, da segnalare la caratteristica, che resiste oramai da decenni – anche se quest’ultima volta ho notato che ci sono addirittura i menù con la proposta di qualche bistecca o qualche altro platillo messicano – che a ogni ordine di bevanda alcoolica, dal prezzo in genere contenuto, almeno per noi italiani, corrisponde un antojito o una botana, quelli che dalle mie parti si definisce cicchetto, ovvero un qualcosa da mangiare, nel caso delle cantinas messicane piuttosto piccante, regalate al cliente di turno allo scopo di farlo bere di più. Inutile dire che l’idea iniziale di ordinare una gustosa arrachera, una tenera e succulenta bistecca messicana, anche piuttosto costosa rispetto alla media degli altri locali, è naufragata dopo i primi ordini di cervezas accompagnati da abbondanti rifornimenti di tacos, sopes e frittume vario… L’altro locale si chiama “Los Faroles” https://antojitos-los-faroles.negocio.site/, ed è, nella sua genuina trascuratezza, uno dei miei ristoranti favoriti: nessuna pretesta di attirare commensali che invece ci sono, eccome, servizio molto, ma molto alla buona – anche se a dire il vero, in quest’ultima visita il tutto si è un po’ “normalizzato” tanto che il cameriere si è dimenticato di passare l’ordinare alla cucina di un solo piatto –, ma dalla squisitezza dei piatti proposti semplicemente incredibile. Qui ho potuto consumare uno dei piatti che più mi piacciono della variegata cucina messicana, ovvero il pozole, una ricchissima zuppa la cui preparazione è quasi un rito e i cui ingredienti principali sono il brodo di pollo o maiale contenente chicchi di mais bianco, a cui si aggiunge a piacere lattuga, avocado, peperoncino in polvere, succo di limone verde, ravanelli, cipolla, origano, salsa di peperoncino verde o rosso, pezzetti di tortilla fritta, cotica di maiale pure questa fritta, pollo sminuzzato… e chi più ne ha più ne metta. Di certo un rito lo era per Moctezuma, l’imperatore azteco che era solito consumare il pozolli – termine náhuatl da cui deriva appunto la parola pozole, che significa più o meno schiuma o spuma – in onore del Dio Xipe, ovvero “Nostro Signore dello scorticato” a cui aggiungeva però, in luogo della carne di pollo o di maiale, la carne di qualche prigioniero sacrificato. Per fortuna oggi il consumo di pozole è molto più normale e atti di cannibalismo come quelli che usava compiere Moctezuma non si usano più da secoli, resta invece intatta la tradizione degli jueves pozoleros, ossia i giovedì del pozole, in cui la gente è solita recarsi nelle cenadurias, – ovvero nelle trattorie a conduzione famigliare, come questo ristorante, dove si preparano grandi pentoloni di pozole – per consumare questo piatto incredibilmente ricco ed economico. Particolare è poi il processo con cui si lavora il mais bianco per fare questo e altri elaborati – tra gli altri le tortillas, le empanadas, le gorditas, i tamales e molti altri –, un processo conosciuto come nixtamalizzazione, dal náhuatl nextli “cenere di calce” e tamalli “massa di mais cotto”. Questo processo consiste nel far bollire i chicchi di mais ben maturo in una soluzione alcalina, così da ammorbidirli, per poi lavarli e macinarli per ottenere una farina chiamata masa. Nel caso del mais usato per fare il pozole, elaborare le tortillas e molto altro ancora, il processo tradizionale prevede l’uso della calce viva e della cenere di legna, che aggiunto nella misura che varia dall’1% al 5% rispetto al peso del mais, fatto bollire per circa un’ora e lasciato a riposare da sei a ventiquattro ore, ammorbidisce il pericarpo, la sottile pellicina esterna attaccata al chicco, quel tanto che basta per staccarsi, o venire staccata. Successivamente i chicchi vengono lavati più volte allo scopo di eliminare l’eccesso di calcio, e a questo punto si procede quindi alla macinazione, sempre manuale, aggiungendo un po’ d’acqua per produrre la masa, che grazie al trattamento con la calce è in grado di essere plasmata, operazione che sarebbe impossibile senza questo processo. Un dettaglio non irrilevante a proposito di questa particolare lavorazione, che nella miopia dei conquistadores era visto solo come un retrogrado rito religioso, ma che avrebbe risparmiato all’Europa tutta le centinaia di migliaia di morti provocati dalla pelagra, è che la nixtamalizzazione ha il pregio di liberare quella che viene chiamata vitamina PP, il cosiddetto acido nicotinico, e di renderla disponibile per essere assorbita dal nostro corpo che altrimenti non la riuscirebbe ad assimilare e si ammalerebbe quindi di pelagra.

Con amor y aguardiente ni la muerte se siente

Detto popolare messicano

Essendomi accorto, ormai da diverso tempo che, per motivi legati a un qualche problema al mio account GoogleAdSense, nel mio blog non compare più alcuna pubblicità, e quindi monetariamente non ricavo più nulla dalla pubblicazione di questo e dei precedenti e futuri articoli che mi ostino a scrivere su queste pagine, chiedo ai miei affezionati lettori di contribuire a sostenere questo progetto, nella misura che ognuno riterrà adeguata, attraverso qualche “donazione” una tantum al conto PayPal https://www.paypal.me/piratiedizioni. Ricordo agli attenti lettori inoltre che i libri precedenti pubblicati in cartaceo sono richiedibili  – “México Sur Real” al costo di 14 euro + 1.28 euro (spedizione ordinaria) o 3.63 euro (spedizione raccomandata), “Venti pirati. Storie di venti pirati e di venti di libertà” (15 euro + 1.28 euro in spedizione ordinaria o 3.63 euro spedizione raccomandata) – all’indirizzo: [email protected]. Allo stesso indirizzo vi potete rivolgere per informazioni su “Ciu-than. Noi non vi capiamo. Dal Mayab alla penisola yucateca odierna, vagabondaggi tra Storia e storie”, di prossima pubblicazione, e per ogni altra eventuale informazione. Grazie.

3 Risposte a “Ciu-than. Anteprima 8”

  1. Hello there! This post couldn’t be written any better! Looking through this
    article reminds me of my previous roommate! He always kept preaching about this.
    I am going to forward this article to him. Pretty sure he will have a very good read.
    I appreciate you for sharing! It’s appropriate time
    to make some plans for the future and it is time to be happy.
    I have read this post and if I could I desire to suggest you few interesting
    things or advice. Perhaps you can write next articles referring
    to this article. I want to read more things about it! It’s very effortless to find out any matter on web as compared to books, as I found
    this post at this website. http://cspan.co.uk

I commenti sono chiusi.

Verified by MonsterInsights