Ciu-than. Anteprima 6

Anche questo brano, tratto dal mio ultimo lavoro, in fase di elaborazione, che si intitolerà “Ciu-than. Noi non vi capiamo. Dal Mayab alla penisola yucateca odierna, vagabondaggi tra Storia e storie”, è l’ennesima anteprima di questo libro che potrebbe uscire in stampa per fine anno o inizio del prossimo. Spero piaccia e spero che l’attento lettore possa trovare motivi d’approfondimento, come meritano gli argomenti proposti.

Valladolid fu fondata nell’attuale sito nel 1545, anche se la città ebbe un suo primo battesimo due anni prima, nel 1543, quando gli spagnoli fondarono sulle sponde di un piccolo lago la “prima” Valladolid. Allora quel territorio era dominato dagli indigeni cupules, una tribù maya molto agguerrita che viveva non troppo distante dal luogo in cui gli spagnoli si erano attestati, la cui capitale era Zaci. Gli spagnoli si accorsero ben presto che il luogo su cui era stato fondata Valladolid era insalubre e poco adatto alla coltivazione, così decisero di spostare la città direttamente a Zaci, occupandola progressivamente e detronizzando il batab, il capo villaggio, Atzuic Cupul, discendente di Zaci-Hual, gran sovrano della capitale cupules, che aveva fatto la ricchezza di questa città prima dell’arrivo degli spagnoli. I conquistadores naturalmente si comportarono allo stesso modo in cui si comportavano con tutti gli altri popoli delle Americhe, cioè schiavizzando i nativi e imponendo tributi e costumi, cose che non furono di grande gradimento agli allora numerosi indigeni, che solo dopo poco più di un anno di convivenza forzata, si ribellarono e misero in fuga la maggior parte degli spagnoli, mentre un piccolo nucleo ben armato di peninsulares rimase a difesa della città e grazie alla loro tenace resistenza non vennero mai vinti dai maya che, vista l’impossibilità di sconfiggerli, preferirono tornare in piccoli gruppi ai rispettivi villaggi, tollerando di fatto la loro presenza. Ma le guerre non finirono qui, e nel 1847, tre secoli dopo la prima ribellione si ha un’altra grande sollevazione, la già citata Guerra delle Caste, che iniziò proprio qui a Valladolid e si estese per tutta la penisola yucateca. I Maya, durante questa lunga ribellione che durò fino al 1901, conquistarono in poco tempo Valladolid mettendo in fuga gli spagnoli, prima verso Izamal, poi fino a Mérida, arrivando a conquistare i villaggi attorno alla capitale yucateca. Il governo dello Yucatán, chiese allora aiuto a quello messicano, ma anche quest’ultimo, in quel periodo storico, era impegnato nella sanguinosa guerra contro gli stati Uniti. Così il governo yucateco, guidato dai ricchi latifondisti che naturalmente gli imponevano il proprio volere, offrì la penisola prima al governo spagnolo, poi a quello inglese ed infine a quello statunitense in cambio delle armi per combattere gli indigeni ribelli. Nessuno dei tre governi rispose all’offerta yucateca e fu un bene, altrimenti oggi lo Yucatán, nel migliore dei casi, sarebbe il 51° stato sotto la bandiera a stelle e strisce o un altro territorio sotto l’egida del Commowealth. Poi il governo centrale messicano, dopo alcuni tentennamenti, accorse in aiuto di quello yucateco e, grazie ad un fortunoso episodio riuscì a far sloggiare i maya ribelli dai territori da poco conquistati e a riottenerne il controllo. L’episodio a cui si fa riferimento è quello delle formiche volanti, la cui comparsa ogni anno segnalava e segnala tuttora ai maya, il periodo in cui bisogna seminare il mais, ed essendo quella maya una civiltà prettamente agricola e poco incline alla guerra, questi preferirono tornare a casa a seminare la propria milpa piuttosto che continuare a tenere il controllo di quelle zone, ma morire di fame. Così si ritirarono verso sud-est dove resistettero per più di 50 anni prima di arrendersi definitivamente alle truppe messicane. La storia di Valladolid, così densa di rivolte e guerre, ha consegnato al visitatore una città che non rinnega il proprio passato, figlia anch’essa di quel mestizaje da cui nacque il Messico moderno, ed è oggi tranquilla dimora di meticci e indigenas, che nonostante gli ancora aperti problemi, riescono a convivere in questa affascinante cittadina.

A Valladolid, oltre alla cattedrale, allo zócalo e ai negozietti sparsi attorno alla piazzetta, c’è la gente, che esattamente come la stragrande maggioranza degli yucatechi è tendenzialmente gentilissima e amichevole, prime tra tutti le signore di una certa età, abilissime nei lavori di ricamare fantasie coloratissime su tutti i tessuti, e i bambini, vera speranza per questa terra così antica eppure così rivolta verso un futuro che si spera migliore. Sì perché spesso, in un viaggio, non sono tanto, o non sono solamente i paesaggi, le cittadine, le spiagge, le montagne o i monumenti che, di ritorno, si ricordano più facilmente. Spesso, fortunatamente, sono le persone che incontriamo lungo il cammino a farsi ricordare, emozionandoci e facendoci sentire per quello che siamo veramente: umani soli, e piccoli, piccoli… Però, l’incontro con l’altro, spesso casuale, è uno dei motivi che ci spinge a viaggiare, ricordandone poi i momenti più belli, e uno di questi è stato senz’altro l’incontro con Estrella, in questa bellissima città. Estrella è una bellissima ragazzina dai tratti maya, ha undici anni ed è piuttosto piccola – penso che tre di lei farebbero mio figlio Pablo, che di anni ne ha quattordici –, ma ha una grande forza e un sorriso magico. Vende flan napolitano nella piazza principale di Valladolid, e dopo avergliene comprati due, l’abbiamo invitata a mangiare qualche tacos perché era affamata. Tra un boccone, un gioco e due risate abbiamo scoperto che “ancora” va a scuola, anche se questo sarà l’ultimo anno perché la madre ha bisogno che la piccola la aiuti economicamente, ha nove tra sorelle, fratelli, sorellastre e fratellastri, e la situazione in famiglia purtroppo non è tra le più rosee… E’ in momenti come questi, guardando mangiare e ridere quella ragazzina dal volto così innocente e sorridente, eppure così malinconico, che un qualsiasi turista come sono stato io durante questo viaggio si sente morire e, ancor peggio, si sente giustamente una cacca secca di fronte all’evidente ingiustizia che ci sia anche solo una bambina come Estrella, che invece di giocare e andare a scuola come tutte le sue coetanee e i suoi coetanei, sia costretta a vendere dolci a turisti distratti, sola in giro per la città fino all’una di notte, con tutti i pericoli e i piccoli e grandi soprusi che gli sono toccati, e gli toccheranno… No Estrella, non ti dimenticheremo, e quella sera, di ritorno al bellissimo hotel che avevamo trovato a due passi da dove l’abbiamo conosciuta, con il cuore attorcigliato e una lacrima incombente pure un qualsiasi ateo convinto avrebbe pregato Dio di proteggerti… ¡Buena suerte Estrella! ¡ Y cuidate!

Valladolid si risveglia presto alla mattina, anche se molto gradualmente, iniziando dalla periferia per coinvolgere man mano il centro. I ristorantini dove fare colazione, i negozietti di artigianato del centro, le chiese, i musei e i monumenti sono ancora le principali attrazione degne di nota, assieme all’atmosfera che tutti questi elementi insieme creano. Ma, nelle vicinanze e pure in pieno centro storico, degni di nota ci sono pure tre cenotes, quello di Dzitnup, che da qualche tempo si chiama X’Kekén, quello di Samulá e quello di Zaci, cenote quest’ultimo appunto, che si incontra a pochi isolati dal centro. Nel nostro soggiorno in città abbiamo avuto modo naturalmente, di visitarli tutti e tre scoprendo cose molto interessanti e perché no, anche divertenti.

Gli spagnoli dicono che erano 20000 guerrieri. Presto questi indigeni accerchiarono completamente Valladolid. Confidando in una rapida vittoria e gridando insulti agli spagnoli, la moltitudine maya non perse tempo e diede l’assalto alla città.”

Robert S. Chamberlain

 

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