Scar Tissue

Le corde vibranti della chitarra di Jack diffusero nella madrugada del deserto le prime note. Poi attaccò il cantato: “Scar tissue that I wish you saw/ Sarcastic mister know it all/ Close your eyes and I’ll kiss you ‘cause/ With the birds I’ll share/ With the birds I’ll share this lonely wiew”. – Quanto mancherà al confine? – chiesi a Danny, standomene stravaccato sul sedile posteriore della scassata Cadillac Eldorado che aveva rimediato non si sa bene dove. Lui guidava – come era solito fare, tanto le macchine quanto il nostro gruppo di amici – e, con il polso destro fasciato da una logora bendatura, non rispose subito alla mia domanda. Guardava il sorgere del sole al nostro lato e fumava. Poi gettò fuori il mozzicone di sigaretta e grattandosi la testa disse: – Boh, ci vorranno ancora un paio d’ore…, tre…, forse quattro… Più o meno. E contando che era dalla notte che conduceva quella sorta di scatola con le ruote, tra piste sterrate e strade asfaltate più o meno decenti in mezzo al deserto, pensai che presto avrebbe avuto bisogno di un cambio. Era un bravo ragazzo, e tutti noi lo adoravamo. Al suo fianco, il gigantesco Esteban se ne stava sdraiato, con uno dei suoi grandi piedi a ciodoloni tra il bordo della portiera e lo specchietto mezzo penzolante, e con in mano una bottiglia di pessimo tequila da cui ingurgitava ogni tanto una sorsata. Era Esteban quello che si poteva tranquillamente definire “un gigante buono”: all’aspetto tutt’altro che rassicurante – diverse ecchimosi al volto e un paio di ferite sulle braccia, alcune ancora sanguinanti, dopo i fatti avvenuti quella notte nella cantina dove c’eravamo ritrovati – opponeva un carattere docile e altruista. Tutti noi amici andavamo dicendo che non avrebbe fatto del male a una mosca, ma, anche se non si poteva di certo dire che lui fosse un tipo violento, sapevano che non era così… Aveva, questo sì, avuto una certa delusione d’amore qualche tempo fa, e ora si ritrovava come compagna sempre una nuova bottiglia di aguardiente, ogni volta per sempre meno tempo… Jack era nipote d’immigrati, eternamente attaccato alla sua chitarra, che anche in quel momento strimpellava facendone uscire una versione acustica di “Scar tissue”. Aveva sempre un’espressione cupa in faccia, stretta tra un capello nero tipo pescatore, i capelli lunghi e trasandati e la barba incolta. Parlava poco ed era sempre chiuso in bui pensieri che solo lui conosceva. Io, ora che avevo cambiato posizione e me ne stavo sdraiato con la testa appoggiata alla seduta del sedile posteriore della macchina e il calcagno del piede sinistro appoggiato al ginocchio destro, giocherellavo con uno stuzzicadenti stretto tra le labbra, pensando che in fondo, non me ne importava nulla né di quanto tempo mancasse alla frontiera né degli ematomi all’occhio destro e al fianco sinistro, anche se dolenti. Il vento alzava improvvise folate di polvere che sembravano danzare al nostro passaggio, e il sole, minuto dopo minuto, andava arroventando le nostre malconce membra. Tutt’intorno la natura si era ormai svegliata in tutta la sua prepotenza, anche se le cose che più balzavano all’occhio, i cactus e là in lontanza, le montagne, sembravano eternamente dormienti. A un certo punto Esteban, dopo aver chiesto gesticolando a Danny se volesse l’ultima sorsata di tequila, e averne ottenuto da questi un pacato rifiuto, svuotò d’un solo fiato ciò che rimaneva del modesto distillato, e gettò la bottiglia vuota. La bottiglia si sfracellò tra l’asfalto e il bordo sabbioso che delimitava vagamente il labile confine tra strada e deserto. Da qualche parte, là dalle montagne in lontananza, il verso di un qualche animale sottolineò il frantumarsi del vetro della bottiglia, proprio mentre le ultime note fuoriuscivano dalla chitarra di Jack sfumando al cielo, vibranti, fino all’ultimo riverbero. Danny sputò fuori dalla decappottabile cercando di non schizzare Jack che gli stava dietro, e indossò un paio di scuri occhiali da sole, mentre io, in uno stato di grazia che rasentava l’estasi, mi chiedevo, così malridotti, dove diavolo stessimo mai andando…

Anche se già pubblicato qualche mese fa su questo stesso blog, questo breve racconto, nel corso del tempo, è divenuto il primo capitolo di un nuovo progetto, un piccolo libro, per ora solo consultabile su Internet, che si chiama “Deserto del Rock“. La ripubblicazione dunque, mi pareva la cosa più sensata, anche perché, in questa maniera, potrà essere conosciuto da più persone. Invito allora, come sempre, tutte/i quelle/i che visiteranno le pagine di questo nuovo progetto a cliccare sui banner pubblicitari presenti su questo e sugli altri articoli presenti e futuri. E’ un piccolo fastidio (io stesso non lo farei mai, se non fosse per finanziare in qualche modo un’attività che è principalmente una passione) ma può essere utile per chi, come me, scrive. Ricordo agli attenti lettori inoltre che i libri precedenti pubblicati in cartaceo sono richiedibili  – “México Sur Real” al costo di 14 euro + 1.28 euro (spedizione ordinaria) o 3.63 euro (spedizione raccomandata), “Venti pirati. Storie di venti pirati e di venti di libertà” (15 euro + 1.28 euro in spedizione ordinaria o 3.63 euro spedizione raccomandata) – all’indirizzo: [email protected]. Allo stesso indirizzo vi potete rivolgere per ogni altra eventuale informazione. Grazie

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