México Sur Real – Avventura a Chilangolandia (nuovo capitolo tratto da “Un foglio accartocciato”)

Se si cerca una aggettivo che possa velocemente descrivere e riassumere ciò che Città del Messico è, o ciò che può apparire ad un qualsiasi viaggiatore che vi capiti per la prima volta, non sarà difficile trovarlo sotto termini che esprimono negatività. Questo perché la metropoli messicana è tutto ciò che di negativo può essere una metropoli di simili dimensioni. Non tutti questi termini però esprimono solo negatività, o almeno vedendoli sotto altri punti di vista, possono esprimere anche qualità neutre o addirittura positive. Prendiamo il termine mostro o il suo aggettivo mostruoso: se espressi in contesti negativi, come ad esempio riferendosi ad una persona particolarmente brutta, o peggio ancora, a un maniaco o ad un serial-killer, appare chiaro l’uso che se ne vuole fare, che è poi di descrivere questa persona sotto un aspetto totalmente negativo. Se però usato in contesti neutri o positivi, questo termine, può assumere valore in termini di eccellenza, basterà ricordare quante volte abbiamo sentito la frase “un mostro di bravura”. E anche alla capitale del Messico, ovvero Città del Messico, il termine mostro, in spagnolo monstruo, se espresso in determinati contesti, può descrivere qualità negative, neutre o positive, qualità che questa città ha in sé. Città del Messico, Ciudad de México in spagnolo e D.F. per i messicani, è un mostro sotto moltissimi punti di vista, da quelli negativi, e si potrebbe pensare all’inquinamento, alla montagna di rifiuti che ogni giorno produce e alla povertà tutt’oggi diffusa, a quelli neutri, quando si parla della sua estensione che sorpassa addirittura i confini del distretto, il Distrito Federal su cui erano stati concepiti i suoi limiti cittadini, o positivi, quando si pensa che a Città del Messico c’è la più grande ed importante università dell’America Latina, oltre alla più grande cattedrale del continente e alla più grande Plaza de toros del mondo. I primati, negativi, neutri o positivi della città, sono comunque poca cosa rispetto a chi a Città del Messico puoi incontrare, o a che tipo di avventure qui ti possono capitare. Non che in altre città o in altri luoghi queste cose non capitino, solo che qui, dove gli estremi sono veramente estremi, e dove quasi tutto può assumere l’aggettivo mostruoso, capitano semplicemente con maggior frequenza. Quando poi un soggetto particolarmente portato nel cacciarsi nei guai e questa città si incontrano, ne vengono fuori avventure al limite del credibile, dove il surreale è la norma e dove l’imprevedibilità è la regola. Il soggetto a cui faccio riferimento, è un amico italiano con cui ho compiuto, assieme a mio fratello, il primo viaggio della mia vita in Messico. Assomiglia molto da vicino ai matti che Jack Kerouac descrisse in “On the road” “…quelli che non sbagliano mai e non dicono mai un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano come candele romane, gialle e favolose, che esplodono come ragni tra le stelle“. La storia della sua vita, fatta di gioie e sofferenze, proprio come la maggior parte del genere umano, è irrilevante in questa storia, o ne è forse fuori luogo il racconto. Ciò che invece si può accennare, è che lo conosco da più di venticinque anni e che insieme abbiamo compiuto innumerevoli viaggi, oltre a molti tipi di avventure, positive e negative. Questa storia comincia, forse banalmente, in un disco-bar nella zona centrale di Città del Messico, un disco-bar come ce ne sono tanti, con il suo carico di giovane umanità alla ricerca di bruciare nella maniera più piacevole possibile un’altra notte di vita. Siamo io, mio fratello e questo mio amico. La notte è fresca e ventilata, la solita pioggia estiva della serata ha ripulito, anche se temporaneamente, le strade, e la città è viva e polifonica, con i suoi rumori che creano un sinfonia da metropoli in perenne veglia. Entriamo dentro il disco-bar e saliamo le scale fino al primo piano di una bella palazzina, che probabilmente sarà stata costruita un secolo fa o giù di lì. Un cameriere ci accoglie appena varcato l’ingresso e ci accompagna al tavolo, dove ci fa accomodare e ci consegna le liste di innumerevoli tipi di cocktail, tutti dal prezzo già abbastanza cari, a cui va aggiunto il servizio e il coperto, così da far passare qualsiasi intenzione di ubriacarci. Così, dopo aver preso una prima birra, decidiamo di alzarci e passare la serata in piedi, in modo che coperto e servizio non gravino più sulle nostre scelte alcooliche, nonché sulle nostre finanze. La musica e il calore della pista dove stanno ballando un centinaio di giovani, fluttuano nell’aria e ci spingono ad avvicinarvici e ad incominciare a sballottare, sì sballottare, perché ballare è un’altra cosa. Purtroppo ho il solito dolorino all’inguine, ricordo di un paio di vecchi strappi consecutivi che ho rimediato giocando a calcetto, così sono spesso costretto a fermami e a starmene un po’ fermo, in modo che il dolore venga alleviato da qualche decina di minuti di riposo. Non è così invece per il mio amico che balla, anche se non troppo forsennatamente, in mezzo alla pista con la sua bella Dos Equis in mano, senza sapere cosa accadrà da lì a qualche minuto. Mi sto guardando intorno, per la verità un po’ annoiato, in fondo a me ballare non è mai piaciuto troppo o forse, non mi piacciono troppo i balli in cui devi fare per forza determinati passi, fatto sta che sto pensando di tornarmene in albergo, domani dovremmo svegliarci presto, si va a Teotihuacán…. Ma che succede? Proprio mentre mi decido ad avvertire mio fratello e il mio amico, che ho intenzione di tornare in albergo, vedo quest’ultimo ballare in compagnia di una ragazza, che a sua volta è in compagnia di una coppia di giovani “innamorati”, vista la passione con cui si abbracciano. Be’, dopo la sorpresa iniziale, che tanto sorpresa non è, visto i precedenti “amorosi” di questo mio amico, gli riesco a parlare, e gli dò appuntamento per la mattina successiva alle nove, in albergo. Torno in albergo, in compagnia di mio fratello; saranno le due o le tre, ma la mia mente è già a Teotihuacán a esplorare quelle piramidi così antiche e misteriose. L’ultimo mio pensiero prima di prendere sonno va all‟amico abbandonato a se stesso, forse avrei dovuto restare con lui, in fondo è in una città che non conosce e potrebbe perdersi o peggio…be’, alla fine mi metto il cuore in pace, come sempre se la caverà, almeno spero… Alle otto mi sveglio, un pallido sole mi riporta alla vita, ad un altro giorno a Chilangolandia, un altro giorno di scoperte e avventure e… ma dov’è il mio amico che ho abbandonato per la metropoli più grande del mondo? Dopo l’iniziale sorpresa, mi rendo conto che sono sveglio e che non è tornato, e mi assalgono dubbi e domande che mettono i brividi. I minuti passano lentamente, chiedo a mio fratello risposte che non mi può dare, visto che è stato tutta la notte con me. Alle nove dovremmo partire perché altrimenti chissà a che ora arriveremo a Teotihuacán, e chissà quanto tempo ci vorrà per visitarla tutta… Ma che sto dicendo, l’unica cosa importante ora è che il mio amico torni, possibilmente tutto intero, Città del Messico si sà, può essere particolarmente crudele con gli stranieri. Il cielo si è nuovamente annuvolato, come succede spesso in estate in queste zone e questo sinceramente, non fa presagire niente di buono. La tensione e il nervosismo aumentano, sono le nove e ancora niente, non arriva nessuno. All’improvviso, mentre mi sto quasi per riaddormentare, un suono simile ad un lieve bussare alla porta mi desta e riaccende la flebile speranza di riportarlo vivo in Italia. Sì, è proprio un insistente bussare quello che ora sento chiaro e deciso. Quando apro la porta mi ritrovo davanti proprio la persona che vorrei rivedere ma la voglia di dirne quattro a questo “irresponsabile patentato” mi frena la gioia di saperlo ancora intero. Lui con un sorriso a metà tra lo spaventato e la stanco, entra nella stanza, si lava il viso e visibilmente provato, ci racconta per filo e per segno, la sua avventura a Chilangolandia. Il suo racconto così ha inizio. Dopo che io e mio fratello ce ne siamo andati, il mio amico ha continuato a ballare con quella ragazza, e a bere con l’altra coppia così, tra un ballo e un brindisi si è fatto piuttosto tardi, diciamo le quattro e il disco-bar ha incominciato a mandare fuori i suoi avventori e a chiudere. Quando è toccato a loro, l’altro ragazzo del quartetto ha chiesto al mio amico dove fosse alloggiato per accompagnarlo assieme alle due ragazze, ma si sa, dopo qualche birra di troppo, a volte è difficile ricordare il proprio nome, figuriamoci una residenza temporanea in una città praticamente sconosciuta. Così, dopo un paio di giri a vuoto in macchina, è arrivata la proposta: “Perché non vieni a dormire a casa nostra, così domani mattina ti possiamo riaccompagnare e magari lo troviamo ‘sto benedetto hotel?” Naturalmente il mio amico, che già vedeva il possibile sviluppo della situazione sotto un punto di vista puramente godereccio, non ha fatto storie, e forse peccando di leggerezza, ha accettato, cosa che avrebbe fatto più difficilmente, o non avrebbe accettato affatto se si forse accorto del fatto che quel ragazzo che guidava la macchina era completamente ubriaco. Se ne accorgerà però qualche minuto più tardi, quando lanciati a 160 chilometri all’ora su Insurgente Sur passeranno semafori rossi e allibite pattuglie di polizia che probabilmente, vista l’ora, avranno pensato ad un’allucinazione dovuta al sonno e alla stanchezza. E invece no, quella era realtà, una realtà che sfrecciava all’alba nel cuore della metropoli messicana dove, soprattutto al sabato sera, bande di ragazzi si sfidano a passare il maggior numero di semafori rossi, senza togliere il piede dall’acceleratore. Dopo quasi un‟ora, giungono nei pressi della zona dell’Azteca, lo stadio reso famoso in un drammatico Italia-Germania dei Mondiali del ’70, e finalmente, il mio amico può tirare un sospiro di sollievo: è ancora vivo e intero dopo mille rischi, ma è stanco e ora ha solo voglia di dormire. Le cose però non andranno come lui avrebbe voluto, anzi… Giunti davanti alla casa della ragazza che il mio amico accompagnava, gli altri due, ubriachi fino al midollo, si dileguano, il che poteva essere anche un bene, ma a fargli cambiare repentinamente opinione sarebbero state le parole della ragazza: “Ora fai piano, perché se mia madre ti sente, ti ammazza!” A questo punto il mio amico, non sa più se ridere o se piangere e quindi, correndo incontro al suo destino, o forse solo troppo stanco per pensare a un’altra soluzione, entra nella casa sperando in un paio d’ore di tranquillità. Già, sperando… Invece, tutto sembra andare a suo sfavore. La ragazza lo mette a “dormire” in una specie di ripostiglio, posto di fianco ad un corridoio che porta direttamente nella camera della madre di lei. Davanti a lui c’è uno specchio, che gli permette d’osservare il corridoio e in caso di pericolo, se non altro di cercare di nascondersi il più possibile. E in effetti i suoi presagi da lì a poco diventano realtà, come un dramma surreale scaraventato nel bel mezzo di una rappresentazione banale, scatenando il caos e la confusione tra gli attori. Succede che ancora sconvolto per quanto successo fin ora, vede, riflessa nello specchio la luce del corridoio accendersi e la temibile figura della madre avvicinarsi al ripostiglio e fermarsi praticamente a pochissimi centimetri dalla porta dello stesso, giusto il limite per poter non essere visto. Il cuore pare scoppiargli in petto e ancora oggi, quando ne parla, non capisce come il battito del suo cuore non sia stato percepito dalla donna. Dopo interminabili momenti, i passi si allontano e la luce si spegne così che il poveretto, può tirare un sospiro di sollievo, ma purtroppo per lui, l’agonia è ancora piuttosto lunga… Dopo qualche minuto, la luce si riaccende e lui pensa che stavolta, se non lo trova, morirà d’infarto, tanto vale provare il suicidio… Questa volta però è la ragazza che in tutta fretta lo fa evacuare in garage, sostenendo, probabilmente a ragione, che lì è troppo rischioso restarci. Lui non fa una piega e, volente o no, si avvia oramai senza speranze nel garage, dove si stende in una brandina stracarica di ogni genere di cose, che al minimo movimento produce uno scricchiolio udibile in tutto il circondario. Sta lì, fermo immobile, riduce quasi le funzioni vitali, solo il cuore, spinto dall’adrenalina prodotta dalla situazione, sembra non voler smettere di fare quel suo rumore inutile. Poi, quando è ormai mattina, cade in un sonno senza abbandono, una veglia vigile che dopo qualche minuto lo risveglia di soprassalto, convinto da rumori esterni di imminenti pericoli. A questo punto non resta che aspettare l’epilogo di questo dramma italo-messicano e difatti dopo un po’ ritorna la ragazza che visibilmente spaventata gli dice che deve scappare via perché sta arrivando la madre. Non c’è però il tempo materiale perché, finite di pronunciare queste parole, entra la madre che scura in volto e fredda e spietata nello sguardo, invita l’indesiderato ospite ad attendere e la figlia a seguirla in una zona più tranquilla del garage per riempirla letteralmente di rimproveri e rimbrotti da far paura al più coraggioso degli individui. Mentre la ragazza se la vede con la madre, il mio amico si accorge all’improvviso di essere al di fuori della portata visiva della donna e decide di seguire un detto filosofico, che certo gli appartiene: carpe diem! La fuga è veloce, per strada c’è poca gente e quella poca che c’è non bada di certo a quel ragazzo, un po’ sudato e frettoloso che sfreccia per le tranquille strade di questa colonia piccolo borghese. Dopo un po’ riesce a trovare un taxi e finalmente pensa, potrà un po’ rilassarsi, magari farsi anche un breve sonno aspettando che l’autista lo porti in Calle 5 de Mayo, nella zona centrale di Città del Messico, dove io e mio fratello lo aspettiamo. Il tassista si rivela però una specie di cicerone metropolitano, oltre che un gran chiacchierone e a ogni incrocio, riesce a trovare un motivo per parlare di Chilangolandia e dei suoi abitanti i chilangos, così etichettati, con un venatura di disprezzo, da tutti gli altri messicani. Così, il sogno di qualche minuto di sonno, per riposare le membra e scaricare un po’ di tensione accumulata in una notte di “ordinaria follia”, sfuma nel pallido sole che nelle giornate meno inquinate, si riesce a vedere anche qui, nella Città del Messico, dove niente è ordinario e dove l’eccezione è la regola. E se poi ci mettiamo anche uno che sembra nato apposta per queste avventure, allora…

Note:

Il capitolo che avete appena finito di leggere faceva parte originariamente del mio primo libro “Un foglio accartocciato” che ricalcando un po’ le orme di “La polvere del Messico” del mio grande maestro Pino Cacucci, voleva raccontare, a modo mio e partendo dalle mie esperienze avute durante gli innumerevoli viaggi che ho avuto la fortuna di compiere in Messico, questo meraviglioso Paese. Quando, nel 2011, ho pubblicato la prima edizione di “México Sur Real” in cartaceo mi era venuta la tentazione di fare rivivere questo capitolo in quel libro ma… non l’ho fatto. Il racconto, che ripubblico oggi per il blog e che ricalca fedelmente un fatto successo davvero a un mio caro amico nel lontano 1999, è la riprova che in Messico il surrealismo è un qualcosa di reale e quotidiano e che Kafka a Città del Messico sarebbe stato al massimo un modesto giornalista di cronaca nera. 

Finisce con questo capitolo la pubblicazione on-line di “México Sur Real”, il libro, tra quelli che ho scritto, che di più mi ha dato qualche piccola soddisfazione. Spero sia piaciuto e spero che la grande passione che traspare tra queste pagine, possa aver in qualche modo annullato i tanti o pochi limiti della mia scrittura… A presto, sempre su queste pagine e su Fb, le novità che ho in mente e a cui sto cercando che “forma” dare per una qualche pubblicazione. Invito, come sempre, tutte/i quelle/i che visiteranno le pagine di questo progetto che altro non è che la pubblicazione on-line di “México Sur Real”, a cliccare sui banner pubblicitari presenti su questo e sugli altri articoli presenti e futuri. E’ un piccolo fastidio (io stesso non lo farei mai, se non fosse per finanziare in qualche modo un’attività che è principalmente una passione) ma può essere utile per chi, come me, scrive. Ricordo agli attenti lettori inoltre che il libro completo in cartaceo, è richiedibile – al costo di 14 euro + 1.28 euro (spedizione ordinaria) o 3.63 euro (spedizione raccomandata) – così come “Venti pirati. Storie di venti pirati e di venti di libertà” (15 euro + 1.28 euro in spedizione ordinaria o 3.63 euro spedizione raccomandata), all’indirizzo: [email protected]

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