Auto-intervista

Diceva James Douglas Morrison, meglio conosciuto come Jim Morrison, che l’auto-intervista rappresenta l’essenza della creatività, e insisteva sul concetto che lo scrittore è in fondo una persona che risponde a una serie di domande non pronunciate. Lo scrittore è dunque, secondo il nostro Jim, un professionista dell’auto-intervista, un maestro nel porsi domande e nel rispondersi. Un anarchico della parola ci aggiungerei io, oltre che un inconsapevole psicologo di se stesso… E dunque, dato che un anarchico, un po’ scrittore e un po’ psicologo (come forse inconsapevolmente potrei anche essere) posso anche considerarmi, perché non scrivere, per farmi conoscere da chi non sa nulla di me, una bella auto-intervista?

Sono nato tra il ’68 e il ’77 dello scorso secolo, ma la vaghezza di tale affermazione non nasce da quei pseudo-pudori che appartengono alle persone di una certa età o alla maggioranza delle donne (difatti, non ho problemi a dire che a dicembre di quest’anno di anni ne compirò quarantacinque), bensì dal desiderio di voler inquadrare l’appartenenza della mia nascita, non solo alla classe sociale da cui la mia famiglia proviene (la classe operaia), ma anche al periodo storico cui tale avvenimento è legato: il ’68 e il ’77, appunto… Sono dunque figlio di una rivoluzione mancata (perché finta, come sosteneva Pasolini) e di una incompiuta (perché bloccata dalla bruta violenza reazionaria dello stato), di un mito (quello del socialismo reale) che nei decenni ha rivelato il suo vero volto autoritario, opprimente e anti-libertario, e di una visione del mondo che si scontra aspramente con la società in cui tutti noi viviamo, ma che resta comunque il mondo dentro al quale tutti, volenti o nolenti, ci muoviamo. Un mondo estremista, mi piace definirlo e sono in realtà convinto di tale termine, un mondo che tratta da tali chi, come gli anarchici ad esempio, promuove la solidarietà e la libertà tra le persone e per contro ritiene nella norma chi antepone interessi economici alle più elementari forme di libertà, ovvero stati, banchieri, imprenditori e coloro i quali, attraverso il voto, il deposito bancario e il consumismo lo sostengono e lo alimentano. Se poi si pensa che questo sistema, per sopravvivere, si nutre d’armi, di droga e di corruzione, nonostante la facciata perbenista che dà di se stesso, allora non è poi difficile distinguere l’autentico estremismo…

La scrittura, come per altri è stata la pittura, la musica, o il teatro, fino ad arrivare a nuove forme d’espressione, artistiche e non, legate alle nuove tecnologie e ai computer, è stata la mia personale maniera di confrontarmi, di scontrarmi e di provare a mettere a nudo tutte le contraddizioni di questo sistema che, finita probabilmente per sempre l’epoca delle rivoluzioni utopiche, non ha altra alternativa di cambiamento che questa ricerca spassionata di nuove forme di dissenso e impegno. Contemporaneamente alla scrittura si è unito, fin da subito e in maniera puramente istintiva, il viaggio di cui, quando ho scoperto – almeno vent’anni fa  – il piacere che riesce a procurare, ne avevo apprezzato la relativa facilità che teoricamente chiunque ha nel concepirlo e metterlo in pratica. A questa conclusione c’ero arrivato attraverso semplici e superficiali considerazioni suggerite un po’ dall’epoca in cui questa convinzione aveva preso forma, e un po’ dalla giovane età che avevo allora, priva, come è logico, di grandi esperienze. Oggi, il nuovo terrorismo imposto dai potenti e “l’imborghesimento” che ahimè sembra intaccare anche gli spiriti eternamente ribelli come ancora mi ritengo – ma che in realtà è solo l’onesto riconoscimento di un certo cambiamento dei tempi, accompagnato dalle nuove responsabilità famigliari, ma soprattutto da una disponibilità di tempo e denari da spendere in questi viaggi inferiori che in passato – hanno messo una seria limitazione a quella che Chatwin definiva come il “concedere alla natura umana la sua istintiva voglia di spostarsi, in netta contrapposizione con il tedio della stasi prolungata e del lavoro fisso e meccanico”. Ma perché lo scrivere, si domanderà il disorientato lettore. Potrei rispondere che mi rilassa (falso) o che libera la mente (vero), o ancora che il motivo è che me la cavo bene con le parole (falso). Ma suonerebbe troppo banale, troppo costruito. In realtà scrivo perché mi piace leggere, ma soprattutto perché a parlare non mi sento troppo a mio agio… Le parole scritte, in generale, subiscono per lo meno una riflessione prima che si possa affermare “ok, così va bene”, mentre una parola detta è detta, e non ci sarebbe modo di ritrattarla se non affidandosi al “trucchetto” che usano le persone che parlano troppo, ossia affermare una cosa e contraddirsi quasi subito, creando così quella sufficiente confusione in chi ascolta che porta la maggior parte delle persone ad arrivare a quel “ok, così va bene” più per sfinimento che per reale convinzione. Ed è proprio per queste ragioni che scrivo, altrimenti farei il presentatore, l’oratore o il cameriere… come in realtà attualmente faccio… Ho avuto anche qualche proposta di presentare i miei libri, ci stavo per cascare in qualche occasione… Ma ho saggiamente e educatamente rifiutato… Cavolo, io scrivo, mica aspiro a diventare un novello Wanna Marchi… I miei libri, comunque, sono: “Un foglio accartocciato – Vagabondaggi in terra messicana” (2009), “México Sur Real – Racconti di paradossale realtà e ordinario “surrealismo” alla messicana” (2011), “Venti Pirati – Storie di venti pirati e di venti di libertà” (2015) e “Deserto del Rock”(2016), una piccola antologia di racconti “musicali” che ho pubblicato solo sul blog. Attualmente, oltre a curare il blog, sto scrivendo un romanzo che volentieri definisco pazzesco, dal titolo “Più a sud della vendetta”, un romanzo (che uscirà, se tutto va bene, non prima dell’inizio del prossimo anno, ma già nutro dubbi al riguardo), la cui trama ha la principale caratteristica (almeno nella prima metà dello stesso) di essere, per così dire, un romanzo multilineare, cioè con storie diverse (quattro per la precisione) che si intrecciano a vari livelli e con un’importante distorsione del tempo cronologico, alla Alejandro González Iñárritu tanto per capirci, ma in versione letteraria, naturalmente. Un lavoraccio, credetemi, ma un lavoraccio che svolgo più che volentieri, non perché me lo chieda un editore spregiudicato cui importi solo le copie che riuscirò a vendere, non una smisurata ambizione personale che superi le mie naturali capacità, ma solo perché ciò soddisfa una mia passione, lo scrivere, il raccontare storie, non favole, storie che sono accadute, che chissà, accadranno, o comunque storie verosimili, storie di questa vita e chissà di quante altre…

Money from home

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stay out of trouble

Jim Morrison da “Deserto

Invito, come sempre, tutte/i quelle/i che visiteranno le pagine di questo blog a cliccare sui banner pubblicitari presenti su questo e sugli altri articoli passati e futuri. E’ un piccolo fastidio (io stesso non lo farei mai, se non fosse per finanziare in qualche modo un’attività che è principalmente una passione) ma può essere utile per chi, come me, scrive. Ricordo agli attenti lettori inoltre che i libri precedenti pubblicati in cartaceo sono richiedibili  – “México Sur Real” al costo di 14 euro + 1.28 euro (spedizione ordinaria) o 3.63 euro (spedizione raccomandata), “Venti pirati. Storie di venti pirati e di venti di libertà” (15 euro + 1.28 euro in spedizione ordinaria o 3.63 euro spedizione raccomandata) – all’indirizzo: [email protected]. Allo stesso indirizzo vi potete rivolgere per ogni altra eventuale informazione. Grazie

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